(ANS – Città del Vaticano) – Una delle figure di importanza intellettuale, pastorale e missionaria nel Sinodo dei Vescovo per l’Amazzonia è don Juan Bottasso, SDB. È un antropologo di professione, ordinato sacerdote nel 1963 e da oltre mezzo secolo è in Amazzonia. In una lettera aperta inviata ai Padri Sinodali riuniti in Vaticano presenta due proposte: che “la Chiesa Amazzonica prenda coscienza e chieda umilmente scusa” e, e fa “un invito solenne a tutti i gruppi cristiani per smettere di dividere i popoli amazzonici”.

Lettera aperta ai Padri Sinodali

La Chiesa cattolica è presente in Amazzonia dal secolo XVI. Superando enormi difficoltà per vincere le barriere che impedivano la penetrazione in quella immensa regione, centinaia e centinaia di uomini hanno consacrato la vita intera per evangelizzare i gruppi umani che l’hanno abitata e che la abitano. Dalla seconda metà del XIX secolo anche un gruppo impressionante di donne si è consacrato nella stessa missione. Non si può assolutamente dubitare della buona fede che li ha motivati, né dell’immenso valore del loro sacrificio, ma dobbiamo riconoscere che c’è stato anche qualcosa di discutibile al centro delle loro attività. Ovviamente sarebbe ingiusto voler giudicare il passato con i criteri del presente, però si può dire anche che il Vangelo non è riuscito ad ispirare una visione più profetica. L’attività missionaria è stata generosa, ma paternalistica. Si è sforzata per insegnare molto, però non ha avuto la pazienza di apprendere. Più che dialogo c’è stato indottrinamento. Gli indigeni sono stati considerati sempre come minori di età. I vari Stati, non disponendo di personale preparato e disposto a vivere in modo permanente in zone remote e enormemente scomode, ha delegato la Chiesa, attraverso i Vicariati Apostolici e le Prelature, il compito di integrare i popoli amazzonici alla loro propria nazionalità. Questo impegno è stato preso con entusiasmo, però non sempre rispettando i valori culturali dei destinatari. Per convincere di questo è sufficiente dare uno sguardo al linguaggio usato dalle riviste missionarie fino a qualche decennio fa. Allora, dal momento che molti indigeni hanno studiato e possono accedere a queste letture, è un po’ imbarazzante vedere l’impressione che gli causa.

 

Di tutto questo sarebbe conveniente che la Chiesa Amazzonica prenda coscienza e chieda umilmente scusa

Però c’è un altro tema che non si riferisce al passato, ma è totalmente attuale.

La popolazione indigena di tutta l’Amazzonia raggiunge forse due milioni di individui, però si tratta di una costellazione di popoli con lingue, storie, culture enormemente diverse. Alcuni hanno solo poche centinaia e migliaia di membri. Sono assediati dalla società circostante, privati dei loro territori, minacciati dalle multinazionali, disorientati da una globalizzazione che tutto livella. Questi poveri gruppi già di per sé enormemente fragili, i cristiani di tutte le tendenze (cattolici, protestanti di varie denominazioni), li debilitano ulteriormente, esportando tra loro le divisioni che sono nate nei loro lontani Paesi d’origine. Gesù Cristo, che voleva essere vincolo di unità e comunione, è predicato in un modo che divide.

Questo Sinodo dovrebbe costituire un’opportunità per rivolgere un solenne invito a tutti i gruppi cristiani perché smettano di dividere i popoli amazzonici.

Predichiamo Gesù come unico Salvatore; trasmettiamo il suo messaggio che parla di fraternità, di solidarietà, di perdono e non poniamo al centro le nostre differenze teologiche, sebbene rispettabili. Uniamo tutte le forze per combattere insieme le grandi battaglie che questi fratelli devono affrontare e da questo esito dipende la loro sopravvivenza: la difesa dell’ambiente, la conservazione del territorio, la valorizzazione della loro cultura. In questo modo noteranno non solo che i seguaci di Gesù Cristo stanno dalla loro parte, se non che loro stessi sono parte di una Chiesa che non desidera altro che il loro bene.

Don Juan Bottasso, SDB