La Famiglia Salesiana è l’insieme delle istituzioni sorte per iniziativa di Don Bosco e dei suoi figli e figlie e oggi riuniti sotto tale titolo per la salvezza dei giovani e delle classi popolari.

Rileggendo la storia di Don Bosco, appare evidente che nel corso della sua vita il santo dei giovani ha sempre avuto bisogno di tutti: ai Becchi, di una mamma speciale, di don Calosso, di tutto un paese che in vari modi lo ha aiutato. Anche a Chieri, nella sua adolescenza e giovinezza, ha avuto bisogno di amici buoni, come Luigi Comollo e Giacomo Levi detto Giona, di tanta ospitalità e lavoro per poter studiare. Soprattutto diqualcuno che lo aiutasse a scegliere la vocazione giusta. Sembra quasi che in questo modo il Signore lo instradasse per quello che poi sarà la sua modalità di lavoro: la collaborazione. Anche a Torino, all’inizio della sua opera pastorale, ha avuto bisogno di un santo prete, don Cafasso, che lo indirizza circa il futuro ,della Marchesa Barolo, di don Borel. Di tanti sacerdoti e laici (aristocratici, semplici lavoratori, commercianti) che in vario modo hanno collaborato all’opera degli oratori, di donne speciali come mamma Margherita e la sorella, la mamma di Rua, quella di Michele Magone, la mamma del canonico Gastaldi, dei ragazzi che gli salvano la vita, di chi non se lo sarebbe aspettato, il Rattazzi.

Tutto questo per realizzare la sua missione: la salvezza della gioventù. Tutti questi aiutanti don Bosco li ha sempre voluti radunare perchè il lavoro fosse più proficuo.

Anche la dimensione associativa è sempre presente nella sua infanzia (cortile dei Becchi) e nell’adolescenza a Chieri (società dell’allegria). Quando ha iniziato la sua opera ha saputo circondarsi di validi aiutanti, sia sacerdoti che laici (lavoro apostolico, lavoro manuale, agganci, finanziamenti), cercando di legarli a sé e tra di loro. Tutto questo senso associativo era perfettamente incarnato nella sua situazione storica.

Il mondo segnato dai principi della Rivoluzione francese era individualista. Le coalizioni erano bandite perché attentatrici della libertà dell’uomo. Ma con la “restaurazione”, le associazioni con scopi sociali e morali ripresero vigore da una parte sotto l’impulso di concezioni democratiche meglio comprese, e dovendo far fronte dall’altra a carenze dello Stato e del clero. L’associazionismo è stato uno dei tratti della società del secolo decimonono occidentale.

Le Amicizie degli Stati sardi venivano reclutate tra la nobiltà piemontese, che successivamente si interesserà parecchio delle iniziative di don Bosco. Questi spese una parte della sua vita a promuovere le associazioni, incoraggiando le esistenti e creandone di nuove. I lettori della sua biografia conoscono bene la Società di Mutuo Soccorso torinese, che egli mise in vita nel 1850 per i giovani operai. Fu anche un grande promotore delle Conferenze di S Vincenzo allora di recente fondazione (Parigi 1833). A Torino arrivò nel 1850 e don Bosco con l’arcivescovo Fransoni e Silvio Pellico, fu tra i primi membri. Per molti anni mantenne contatti stretti prima con la conferenza e poi con le conferenze di Torino, la cui presidenza era stata assicurata dal suo grande amico e confidente, il conte Carlo Cays. Un’altra grande associazione cattolica, questa specificamente italiana, fu l’importante “Opera dei Congressi”, creata nel 1874. Pur prendendo parte a tutte queste forme associative, don Bosco maturò l’idea di riunire tutti i suoi aiutanti in primi tentativi di associazione contemporanei ai suoi primi tentativi apostolici importanti: questi si fondarono su quelli.

La primitiva associazione salesiana fu una “famiglia salesiana”, che don Bosco chiamò “Congregazione salesiana”.

Ci serviamo di tre testi di don Bosco tra il 1874 e il 1877..

…la premessa storica che precedeva le Costituzioni salesiane fino alla loro approvazione del 1874 (esclusa); la nota Cooperatori salesiani, manoscritto autografo di don Bosco; la Storia dei Cooperatori salesiani, manoscritto di Gioachino Berto. Questi testi riflettono la sua visione delle cose e, quindi, la forma che impresse alla sua intenzione creatrice.

Don Bosco raccontò in questi termini la nascita della “Congregazione salesiana”: “Fin dall’anno 1841 il sac. Gioanni Bosco si unica ad altri ecclesiastici per accogliere in appositi locali i giovani più abbandonati della città di Torino … Per conservare l’unità si spirito e disciplina, da cui dipende il buon esito degli oratori, fin dall’anno 1844 alcuni ecclesiastici si radunarono a formare una specie di congregazione aiutandosi a vicenda e coll’esempio e con l’istruzione … Riconoscevano il loro superiore nella persona del Sac. Bosco Gioanni. Sebbene non si facessero voti tuttavia in pratica si osservavano le regole ivi esposte”, cioè le Costituzioni salesiane che furono scritte a partire dal 1858″. Per indicare i membri di tale Congregazione, don Bosco non trovò delle parole soddisfacenti: li chiamò successivamente soci, associati, benefattori, promotori, cooperatori della Congregazione salesiana. In un altro dei suoi testi, sui “Cooperatori” si legge: “La storia dei Cooperatori salesiani rimonta al 1841, quando si incominciò a raccogliere i ragazzi poveri e abbandonati della città di Torino (…). Al disimpiego dei molti e svariati uffizi unironsi parecchi signori che coll’opera personale e con la loro beneficenza sostenevano la cosidetta opera degli Oratori festivi. Essi prendevano il nome dall’uffizio che coprivano, ma in generale erano detti benefattori, promotori ed anche cooperatori della Congregazione di S Francesco di Sales”.

La Famiglia salesiana quindi, secondo don Bosco, è nata…

… con l’appellativo di “Congregazione di S Francesco di Sales”. Il vocabolo “Congregazione” va inteso nel senso largo e polivalente che aveva ancora alla metà del secolo scorso. Non si trattava necessariamente di una società religiosa di voti semplici. Questo senso più ristretto non sarà definito prima del decreto “Ecclesia catholica” della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, che porta la data dell’11 agosto 1889.

Il termine serviva a designare determinati gruppi di fedeli riuniti per uno scopo di pietà o di carità, com’era il caso, ad esempio, delle “Congregazioni mariane”. Secondo il suo fondatore, la “Congregazione salesiana” del 1850 era un’associazione di cristiani riuniti attorno al sacerdote Bosco per il bene dei giovani degli oratori della città di Torino. Era chiamata “S Francesco di Sales” perché D Bosco lo aveva scelto come patrono della sua opera. Da questo emerge che, dieci o quindici anni prima della creazione della Società salesiana di religiosi con voti ufficiali, stando a quanto ci notifica il nostro cronista don Bosco, attorno agli anni 1876, esisteva già una “Congregazione di S Francesco di Sales” per i cui membri don Bosco si dava da fare per ottenere garanzie giuridiche e favori spirituali. Si trattava di ecclesiastici e laici, di uomini e di donne. Molti di questi erano ecclesiastici: Bore, Cafasso, Borsarelli. Alcuni di questi ecclesiastici divennero Vescovi: Manacorda a Fossano, Galletti ad Alba, Gastaldi a Saluzzo e poi a Torino.

Per lo più questi ecclesiastici erano troppo occupati. Era necessario rivolgersi ai laici generalmente più liberi e sufficientemente ricchi per disporre di una parte del loro tempo. Riprendiamo il documento di don Bosco: “Ma tutti, legati ad altre gravi occupazioni, potevano solamente prestare aiuto in certe ore e in certe eventualità, non regolarmente. Si ricorse allora ad alcuni signori nobili e borghesi, che si offersero di buon grado e in numero sufficiente di fare il catechismo, scuola assistere in tempo di funzioni entro e fuori la Chiesa. Guidarli nelle preghiere, nel canto ,prepararli ai Santi Sacramenti e istruirli per ricevere degnamente la Cresima, era l’uffizio di questi esemplari cristiani. Fuori dalla Chiesa poi mantenevano l’ordine, accoglievano i fanciulli quando giungevano all’Oratorio, con amorevolezza facevano loro parte dei trastulli e segnavano il sito dove potersi a piacimento divertire. Altro uffizio importante dei Cooperatori era quello di collocamento.

Molto ragazzi venuti di lontano paese si trovavano senza pane, senza occupazione, senza chi prendesse cura di loro. Alcuni Cooperatori si prendevano cura di cercare coloro che non avessero lavoro, procurando di pulirli e mettersi in grado di presentarsi degnamente nelle officine e collocarli presso a qualche onesto padrone. Lungo la settimana li visitavano e procuravano di condurli domenica seguente, affinché non si perdessero in un giorno il frutto che erasi procacciato colle sollecitudini di più settimane. Tra questi Cooperatori parecchi durante la invernale stagione per vie disagiatissime si recavano ogni sera a fare la scuola di lettura, scrittura, canto, aritmetica e anche lingua italiana. Altri poi venivano tutti i giorni il Mezzodì per istruire nel catechismo quelli che maggiormente ne abbisognavano.

Fra i signori secolari che si segnalavano per carità e sacrificio meritava di essere menzionato un negoziante di nome Gagliardi Giuseppe. Ogni momento libero, ogni suo risparmio, tutto consacrava ai giovani dell’Oratorio che egli soleva sempre chiamare col nome di “nostri figli”. Vi erano pure delle donne dedite innanzitutto ai lavori di sartoria. Era necessario corredare i ragazzi di don Bosco di indumenti decenti. “Tra i nostri allievi ve n’erano alcuni così pezzenti e mal messi in arnese che niuno li voleva vicino, niun padrone li accoglieva nel proprio officine. La pietà dei fedeli non viene mai meno. Diverse caritatevole signore si diedero a cucire, pulire, rappezzare ed anche provvedere nuovi abiti e biancheria secondo la necessità”. Tale Congregazione aveva un patrono: S Francesco di Sales; un superiore, don Giovanni Bosco; dei membri attivi, ecclesiastici de laici, uomini e donne; un compito specifico: il servizio dei giovani abbandonati che il superiore riuniva; un regolamento, che era quello della sua istituzione di Valdocco. Tutto questo a partire dagli anni quaranta.

Successivamente ebbe un certo riconoscimento canonico, di cui troviamo le tracce nel 1850, in un documento romano; e nel 1852, quando don Bosco con una lettera che porta la data del 31 marzo , firmata dall’arcivescovo Fransoni, fu dichiarato superiore dell’opera degli oratori della ccittà. Non è eccessivo affermare che la Famiglia salesiana esistette di fatto e di diritto dall’inizio degli anni cinquanta.

Lo sdoppiamento del 1859

Ma il suo tessuto parve probabilmente a don Bosco troppo labile per durare. Si sa che si formò fin d’allora dei giovani che sperava si sarebbero fermati con lui, “con don Bosco”. E così che la “Congregazione”, prima unica, nel 1859 fu sdoppiata. Don Bosco non pretese affatto sostituire un’istituzione, la Società “mista”delle origini, con un’altra che sarebbe la Congregazione religiosa. L’intero suo comportamento e numerose sue affermazioni tendono a mostrare che per il servizio della sua opera, egli diede origine ad una nuova branchia della Congregazione che esisteva già. “Dal 1852 al 1858 furono concessi vari favori e grazie spirituali; ma in quell’anno la Congr. fu suddivisa in due categorie i piuttosto in due famiglie. Coloro che erano liberi di se stessi e ne sentivano vocazione, si raccolsero in vita comune, dimorando nell’edifizio che fu sempre avuto per casa madre e centro della pia associazione, che il Sommo Pontefice consigliò di chiamare Pia Società di S Francesco di Sales, con cui è tuttora denominata. Gli altri, ovvero gli esterni, continuarono a vivere in mezzo al secolo in seno alle proprie famiglie, ma proseguirono a promuovere l’Opera degli oratori conservando tuttora il nome di Unione o Congregazione di S Francesco di Sales, di promotori o cooperatori …”. Noi adesso diciamo il contrario! Sta di fatto che l’dea globale di don Bosco fu chiara: l’unica associazione degli anni precedenti venne divisa in due categorie o piuttosto in due famiglie”.

I salesiani interni “in vita comune”

La Società salesiana con i membri interni è nata nel dicembre del 1859. Nel marzo del 1858, a Roma, don Bosco aveva presentato a Pio IX un progetto più o meno elaborato di “regolamento” per loro uso. Il Papa si mostrò a favore di una congregazione religiosa propriamente detta, con i tre voti tradizionali, in modo che ciascuno dei suoi membri sarebbe stato “per la Chiesa un religioso e per la società un libero cittadino”. Tale era l’idea generalmente ribadita da don Bosco. Ma non è sicuro che egli, per i suoi Salesiani, abbia accettato senza restrizioni uno statuto di religiosi, davanti alla stessa Chiesa. In effetti ebbe modi di negarlo per loro. In una lettera autografa al parroco Guidol di Marsiglia, del 6 ottobre 1880, si legge: ” … Il fatto è che religiosamente e civilmente noi non siamo religiosi. Siamo una pia società di beneficienza che ha per iscopo raccogliere e beneficiare ragazzi abbandonati. I preti dipendono dagli Ordinari per loro ministero. Si dirà: avete i voti. Nelle società civili ci sono condizioni, promesse ed obbligazioni. I nostri voti in latino si volgono promesse in italiano … Noti che in Italia in faccia alla Chiesa ed al governo noi non siamo considerati se non pia Società di beneficenza, che gode ed esercita i diritti civili come libero cittadino ….” Ad ogni modo , il 9 dicembre 1859, mise al corrente o “Salesiani” della sua casa di Valdocco, riuniti in detto giorno nella sua camera, dell’imminente costituzione di una “Congregazione” religiosa. L’entusiasmo dei suoi uditori non fu unanime. Parecchi temevano di diventare “frati”, prospettiva poco incoraggiante nel contesto della loro epoca. Ma il desiderio di “rimanere con don Bosco” era ciò che più importava per la maggioranza di loro. Alla conferenza di adesione tenutasi una settimana dopo, la sera del 18 dicembre, mancarono all’appello soltanto due dei partecipanti alla precedente conferenza. Venne allora redatto un documento, che è il primo atto ufficiale della Società salesiana, qui distinta dalla Congregazione di S Francesco di Sales. Don Bosco venne invitato da tutti ad accettare l’incarico di superiore . Egli si riservò il diritto di scegliersi come “prefetto” un sacerdote che era venuto ad aiutarlo, Vittorio Alasonatti (1812-1865), il quale, peraltro, aveva già questo titolo nella casa dell’oratorio di Valdocco. Il suddiacono Michele Rua fu eletto “all’unanimità” direttore spirituale, e il chierico Angelo Savio economo. Gli altri tre consiglieri furono: Giovanni Cagliero, Giovanni Bonetti e Carlo Ghivarello. Il 14 maggio 1862 questo gruppo raggiunse una nuova tappa: riuniti nella stessa piccola stanza “promisero a Dio di osservare le Regole con i voti di povertà, castità ed ubbidienza per tre anni”. Escluso il fondatore, quel giorno furono ventidue. Nel 1869, Roma approvò ad tempus la Congregazione salesiana e, nel 1874, approvò definitivamente le sue Costituzioni, in una forma, peraltro, non molto gradita a don Bosco.

La categoria degli “esterni” tra il 1858 e il 1874

Tra il 1858 e il 1874, don Bosco ha dunque messo in piedi una Congregazione religiosa, costituita di membri che professavano i tre voti e vivevano in comunità. Nella mentalità media della gente, i Salesiani “interni” hanno eclissato i Salesiani “esterni”. Per essa questi non riapparvero se non dopo l’approvazione delle Costituzioni del 1874 e precisamente quando nel 1876 furono costituiti in una “Pia unione di Cooperatori Salesiani”. Ma tale visione delle cose non corrisponde a quella di don Bosco circa l’insieme di quella che egli chiamava la “Congregazione salesiana”. Gli storici dei cooperatori hanno messo in risalto il capitolo delle Costituzioni che, nel periodo intermedio, li riguardava.

Ecco la prima formula conosciuta, secondo una versione manoscritta delle Costituzioni salesiane del 1860. Sotto il titolo “esterni”, quattro articoli erano così redatti: “1. Qualunque persona vivendo nella propria casa in seno alla propria famiglia può appartenere alla nostra società. 2. Egli non fa alcun voto; ma procurerà di mettere in pratica quella parte del presente regolamento che è compatibile colla sua età e condizione. 3. Per partecipare dei beni spirituali della Società bisogna che faccia almeno una promessa al Rettore di impiegare le sue sostanze e le sue forze nel modo che egli giudicherà tornare a maggior gloria di Dio. 4. Tale promessa non obbliga sotto pena nemmeno veniale”.

La versione delle Costituzioni che venne inviata a Roma nel 1864 per l’approvazione propose una redazione più sviluppata di questo capitolo. Vengono ampliate le attività del membro esterno: “diffusione di buoni libri, dare opera perchè abbiamo luogo tridui, novene, esercizi spirituali ed altre simili opere di carità, che siano precisamente dirette al bene, esercizi spirituali ed altre simili opere di carità, che siano specialmente dirette al bene spirituale della gioventù o del basso popolo” Chi conosce le antiche Costituzioni salesiane ritrova in tale enumerazione i compiti che il loro primo capitolo assegnava ai religiosi. Inoltre vi compariva un quinto articolo: “Ogni membro della società che per qualche ragionevole motivo uscisse dalla medesima è considerato come membro esterno e piò tuttora partecipare dei beni spirituali dell’intera Società, purchè pratichi quella parte del Regolamento prescritta per gli Esterni”.

Questi “esterni” sono esistiti di fatto, ricordiamo il parroco di Maretto d’Asti, don Giovanni Ciattino (MB 6,956) e don Giuseppe Pestarino, parroco di Mornese. Qualcuno dubita di questo (Stella), ma don Bosco non aveva la superstizione delle “iscrizioni” debitamente formulate. Forse egli si accontentava di promesse implicite, che disorienteranno sempre certi suoi commentatori con mentalità giuridica. Dopo il 1876 numerosi “Cooperatori” ne fecero l’esperienza. Nonostante il carattere molto generale della loro promessa di aiutarlo, erano considerati come “soci” e “associati” alla sua Congregazione, “promotori” o “benefattori”, termini equivalenti a “Cooperatori”.

I consultori incaricati di esaminare le Costituzioni salesiane tra il 1864 e il 1874 non erano disposti ad approvare detto articolo dei salesiani esterni. La affiliazione di questi a una società religiosa appariva loro piena di pericoli per il suo felice sviluppo. Don Bosco tentò di difendersi invocando l’esempio di società religiose provviste di terz’Ordini o d’organismi similari. Senza indugi collocò il capitolo contestato alla fine del documento. Nove anni dopo, il consultore Bianchi notò nel suo votum del 9 maggio 1873 che, malgrado il rilievo assai preciso della Congregazione, non era affatto scomparso. Don Bosco insistette per conservarlo. Don Bosco fu così obbligato ad abbandonare provvisoriamente la lotta e asottemettersi nella seconda edizione delle Costituzioni del 1974, in cui soppresse appunto il capitolo contestato. E così nell’aprile di quell’anno le Regole salesiane furono approvate dalla Santa Sede, ma prive di quel testo.

Le Figlie di Maria Ausiliatrice (1872)

Il secondo istituto religioso nacque e sviluppò in stretto unione col primo. Nel 1871 don Bosco annunciò al suo “Capitolo superiore” l’intenzione di formare una congregazione femminile che si occupasse delle ragazze. Riteneva di averne trovato il nucleo nella Pia Unione delle Figlie dell’Immacolata che si era sviluppata a Mornese, sotto la direzione di don Domenico Pestarino. La congregazione si formò durante l’estate del 1872 e Domenica Mazzarello (1837-1881) ne fu la prima superiora. Questa volta si trattava di religiose, con voti canonici, e la cui missione sarebbe stata simile a quella dei Salesiani (religiosi). Dopo l’esperienza dolorosa dei “salesiani esterni”, don Bosco aggregò le suore alla sua istituzione salesiana senza prevenire le autorità romane o, per lo meno, senza obbligarle a prendere posizione sulla questione. Negli Atti del capitolo generale nominato si legge la seguente osservazione di don Bosco attinente le madri e le sorelle dei Salesiani: “Sono contenti che i loro figli o fratelli facciano parte d’una Congregazione a cui sono affigliate queste buone monache …”. Questo verbo “affiliare” esprimeva per lo meno uno stato di fatto. Ed era molto pregnante, perché don Bosco conferì all’affiliazione un senso forte di appartenenza familiare che – giuridicamente – fu in seguito notevolmente affievolito. In effetti, se l’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice aveva le sue Costituzioni, la sua gerarchia e il suo personale, tuttavia faceva veramente parte della “Congregazione salesiana”, nell’accezione che a questa formula si è data precedentemente. In una presentazione sintetica della Pia Società di SF di Sales del 23 febbraio 1874 tale Istituto viene qualificato “come appendice e dipendentemente dalla Congregazione Salesiana”. L’edizione delle Costituzioni delle FMA del 1885 portano il titolo di “Regole o Costituzioni per le FMA aggregate alla Società Salesiana”. La “aggregazione implicava una grande dipendenza sia sul piano temporale sia su quello spirituale”. Il superiore generale dei salesiani governava l’istituto di persona o tramite il direttore generale che lo rappresentava presso le religiose, o ancora mediante i direttori particolari delle opere”. “Il Direttore generale avrà cura di tutto ciò che riguarda il buon andamento materiale, morale e spirituale dell’Istituto”. Il Superiore maggiore ammetteva ai voti, ne dispensava, determinava i limiti dell’amministrazione dei beni da parte delle professe, presiedeva il “Capitolo superiore”, decideva dell’apertura delle case, presiedeva le elezioni del suo “Capitolo superiore”, aveva il diritto di proporre delle candidate, dirimeva personalmente la scelta delle direttrici”. L’aggregazione della congregazione femminile alla Società salesiana, e tramite essa, alla Famiglia salesiana, non era affatto una formalità nel progetto concreto di don Bosco.

Nel 1885 don Bosco sapeva sicuramente che una tale aggregazione di una congregazione femminile da una congregazione maschile non era particolarmente gradita alla Santa Sede.

La categoria degli “esterni” è costituita in Unione dei Cooperatori (1876).

Tra il 1874 e il 1876 don Bosco moltiplicò gli sforzi per garantire a questi “esterni” il posto che, a suo avviso, spettava loro di pieno diritto nella “Congregazione salesiana”. Il nuovo testo avrebbe dovuto strutturare l’associazione sorella dei membri esterni della Faniglia salesiana. Oltre ai progetti rimasti manoscritti, don Bosco ne produsse successivamente tre che furono dati alle stampe: Unione Cristiana (1874), Associazione di opere buone (1875), Cooperatori salesiani (1876). Questi scritti non fanno altro che sviluppare le idee del capitolo soppresso nel 1874.

L’identità dell’associazione salesiana del 1876.

Un’associazione salesiana con tre rami fu dunque messa in vita laboriosamente da don Bosco durante gli anni che precedettero il 1877.

Tale associazione era una specie di comunità, i cui membri perseguivano dei fini identici, condividevano e testimoniavano gli stessii valori, ed erano retti da una struttura d’insieme (di comunione e di governo) di stile familiare, che faceva di loro altrettanti fratelli e sorelle. Non è dunque abusivo ravvisare in tale associazione una famiglia, la “Famiglia salesiana”. L’azione era simile ai tre gruppi, ma l’unità del progetto era ancora più profonda. I membri dei tre rami perseguivano uno scopo primario di santificazione che ai nostri giorni è a volte dimenticato. A gradi differenti, secondo che si trattasse di religiosi o di laici, essi partecipavano pure di un insieme di valori materiali, religiosi e morali. I beni materiali erano messi in comune nella società maschile e femminile. La cosa non era diversa dai Cooperatori, la cui Unione in quanto tale non possedeva beni propri tuttavia trovava normale di farne beneficiare le opere dei suo fratelli e sorelle religiosi, a tal punto che il termine cooperatore ricopriva quello di benefattore e rischiava pure di confondersi con quello. L’identità dell’associazione salesiana era assicurata soprattutto da un sistema di strutture di comunicazione e di governo, su cui don Bosco vegliava con una attenzione particolare. Il Bollettino salesiano fu un grande strumento di coesione e di unità. Le conferenze dei Cooperatori – al minimo due all’anno – esercitavano, in linea di principio, tale funzione. Le informazioni familiari dovevano circolare non solamente dal superiore al Cooperatore, ma anche viceversa.

Il superiore della Congregazione salesiana è anche il superiore dell’Associazione. I direttori locali rappresentavano detto superiore nelle loro città. Al centro e alla periferia il coordinamento era dei salesiani. Don Bosco rifiutò ogni frammentazione provinciale che riteneva dover deprecare nel terz’Ordine francescano. “io avei subito trovato il mezzo che non desse tanto lavoro – disse don Bosco – ma allora non avrebbe più corrisposto allo scopo di questa associazione. Il mezzo era facile: lasciare che ognuno facesse da sé. I terziari Francescani sono così. Ogni casa può affiliare chi vuole”. La centralizzazione della sua Società non religiosa stava a cuore di don Bosco. Aveva rifiutato per i suoi Cooperatori il modello, che conosceva bene, delle conferenze (laiche) della Società di S Vincenzo de Paoli, che non erano affatto amministrate da un organismo parallelo di religiosi e che di fatto si autogestivano.

L’unità della famiglia salesiana era assicurata da un identico compito, da una medesima intenzione santificatrice, dalla partecipazione a stessi valori spirituali e, fino ad un certo punto, materiali, e infine da strutture centralizzate di governo e di comunicazione che prevedevano un unico superiore maggiore, quello della Congregazione maschile, “vincolo di unione”. Tale unione familiare trasformava i membri della grande associazione in tanti fratelli e sorelle.

In sintesi: La Famiglia salesiana era l’associazione fraterna di tre società, due di religiosi, una di non religiosi, i cui membri strettamente uniti al Superiore della Congregazione maschile, che era al centro del loro sistema strutturale, perseguivano i medesimi fini morali (santificazione) e sociali (servizio apostolico particolare) secondo dei valori e un programma messi in comune nella misura in cui lo statuto, religioso o non di ciascuno, lo consentiva.

Tale associazione ovviamente risentiva del contesto culturale in cui era nata. I valori morali e lo spirito salesiano sono nati dal vangelo. Ma, ai tempi di don Bosco, dipendevano pure da una teologia e da una pedagogia situate a mezza strada tra i sistemi detti giansenisti, in voga nel secolo decimottavo, e i sistemi umanisti e ottimisti della metà del ventesimo secolo. La fiducia di don Bosco nell’uomo era reale, ma limitata per la paura del peccato, dell’errore, della concupiscenza e delle loro conseguenze. Quanti ne hanno fatto un “liberale”, non lo conobbero bene. Anche la sua pedagogia religiosa ne risentì.

L’ecclesiologia di don Bosco era quella del Vaticano I. Nella sua Chiesa, gerarchizzata e monarchica, i laici dipendevano strettamente dal clero; l’obbedienza e la sottomissione avevano miglior stampa dell’iniziativa generosa, soprattutto da parte del laicato e nell’ordine prettamente religioso. L’apparato di tale Chiesa era esclusivamente clericale. Come per i medioevali il papa era Dio sulla terra. La struttura cella sua famiglia spirituale, sicuramente ne risentì di tutto questo. Alla sua nascita, anch’essa fu monarchica, cioè governata da un superiore e dai suoi delegati; fu assai clericalizzata, per il fatto che le donne e i laici non potevano esercitare se non funzioni subalterne. Il correttivo in favore delle FMA non è venuto che vent’anni dopo la morte del fondatore, nel 1906. I cooperatori non godevano di nessuna autonomia. I ruoli principali dell’associazione erano naturalmente clericalizzati e maschilizzati.

La famiglia salesiana nel pensiero e nell’azione dei primi successori di don Bosco

Non c’è stato un pensiero vero e proprio e soprattutto esplicito dei primi tre successori di don Bosco. Si tratta di analizzare cosa dissero e come si comportarono a proposito di ciascun gruppo della Famiglia salesiana.

Occorre tener presente due dati. Don Rua, don Albera e don Rinaldi non ci hanno lasciato nessun documento o ampie dichiarazioni su ciascun o dei gruppi componenti la famiglia salesiana. Per scoprire il loro pensiero dobbiamo appoggiarci ai loro prassi. Ci fermeremo sull’inserimento – appartenenza del gruppo ad una unità superiore.

La morte di don Bosco è stato sicuramente un momento molto delicato per la nascente Famiglia salesiana. In occasione della morte e dei funerali di don Bosco, don Rua si rese conto che il fondatore lasciava dietro di sé non solo una grande ammirazione tra la gente, ma anche una eredità istituzionale che noi chiamiamo Famiglia salesiana. Di fatto, assieme ai salesiani e alle FMA, reagirono profondamente anche i cooperatori e gli exallievi. Papa Leone XIII confermava a capo della Congregazione come legittimo successore don Rua e anche tutti i gruppi della famiglia accettavano questa scelta. Il Papa lo trattò come rappresentante di tutti i gruppi: “Sì, volentieri e di cuore benedico voi, i vostri Confratelli, le FMA, i vostri buoni Cooperatori e Cooperatrici e tutti quelli che vi stanno a cuore”.

Pensiero e azione dei primi tre successori

Rapporto tra la Società salesiana e le FMA

Possiamo dividere la storia in tre periodi: il primo è quello della dipendenza giuridica al vertice (Rettor Maggiore), consigliata da Pio IX e codificata da don Bosco nelle Costituzioni dell’Istituto (1872-1906). Il secondo è quello della separazione giuridica, imposta dalla decisione della Santa Sede (1906-1917). Il terzo è quello della autonomia giuridica e del legame spirituale (situazione attuale). I primi due periodi riguardano il rettorato di don Rua, il secondo e il terzo entrano nel rettorato di don Albera; il terzo corrisponde al rettorato di don Rinaldi. Ci fermiamo sul secondo momento, il più delicato.

Questa fase comincia nel 1902 con la pubblicazione, da parte della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, del documento intitolato “Normas secundum quas”, in base al quale una congregazione femminile di voti semplici non poteva dipendere da una congregazione maschile della stessa natura. Raggiunge il suo punto culminante nel 1906, anno in cui viene sancita la separazione giuridica ed economica. Si prolunga poi per undici anni, fino al 1917, data in cui si ottiene una soluzione più accettabile. Il primo momento è caratterizzato da timori da entrambi le parti di fronte alla prospettiva di dover perdere lo status giuridico stabilito da don Bosco. Il momento successivo (1906-1917) è caratterizzato dal rispettare le norme della Chiesa, anche se non piaceva a nessuno in quanto era stata una imposizione. Superata la crisi della separazione, con don Rinaldi, si cercò di assicurare almeno lo spirito di don Bosco, elemento che doveva tenere unuiti i salesiani dalle consorelle.

La società salesiana e la Pia Unione dei Cooperatori salesiani.

Nei disegni originari, il posto che aspettava al Rettor maggiore in rapporto ai Cooperatori era centrale e supremo. Un legame forte, in un clima di corresponsabilità.

I tre primi successori ritennero imprescindibile la cooperazione per il mantenimento e lo sviluppo delle opere salesiane: “come il fuoco per ardere pè necessaria la legna, alla lampada l’olio per rimanere accesa, così alle Opere salesiane è indispensabile la vostra cooperazione, la vostra carità”. I Rettor maggiori non si stancarono di impartire ordini e indicazioni perché i salesiani animassero l’Unione dei Cooperatori. Con don Rua ci sono i primi Congressi. Il rettorato di don Albera, a questo riguardo, ruota attorno all’ottavo congresso internazionale celebratosi nel 1920; si crea un ufficio centrale e degli incaricati ispettoriali. Con don Rinaldi si ebbe un grande incremento della Pia Unione.

Società salesiana e Associazione degli Exallievi

L’inizio del movimento degli exallievi risale al 24 giugno del 1870 (festa di S Giovanni Battista), giorno in cui un loro gruppo capeggiato da Carlo Gastini si presentò all’Oratorio di Torino per salutare e presentare le felicitazioni a don Bosco in occasione del suo onomastico che si celebrava in tale data. Il comune padre gradì quel gesto. Nacquero così negli Exallievi l’idea di rinnovare ogni anno quel gesto di gratitudine e di affetto. L’iniziativa ebbe un esito crescente. Per decongestionare il volume di iniziative che avevano luogo all’Oratorio il 24 giugno, don Bosco dispose che, a partire dal 1880, la concentrazione degli exallievi si effettuasse in una data differente, verso la fine dell’anno scolastico. Si pensò a due giornate: la prima (di domenica) per gli exallievi laici; la seconda (il giovedì seguente) per gli exallievi sacerdoti.

Don Rua fece di tutto per mantenere queste usanze per quello che poteva rappresentare per la Famiglia salesiana. La scelta fu quella di creare, favorire e organizzare, a tutti i livelli, le associazioni degli Exallievi, fino ad abbozzare nel 1909 una federazione internazionale. Era un mezzo per aiutarsi vicendevolmente, per continuare la loro formazione e una porta d’ingresso nella Unione dei Cooperatori. Con don Albera, nel 1911, abbiamo i primo congressi e un forte rilancio della associazione.

Don Rinaldi dimostrò un entusiasmo e una dedizione illimitata, lavorando per lo sviluppo della loro organizzazione, cercando di avvicinare la associazione Exallievi alla Unione dei Cooperatorti. Ai direttori delle case d’Erupa radunati a Torino nel 1926 disse: “Nel concetto di don Bosco gli Exallievi sono i “Salesiani in mezzo al mondo”. Infine cercò di organizzare queste due associazioni a livello mondiale.

La Società salesiana e l’istituto delle Volontarie di don Bosco.

Nel 1917 tre ragazze dell’oratorio femminile delle FMA di Torino Valdocco manifestarono il proposito di unirsi con fini spirituali e apostolici. Questa nuova istituzione deve la sua origine all’apostolato che don Rinaldi esercitò nel ricordato oratorio fal 1907, quando era prefetto generale della Congregazione. Tra queste oratoriane sorse la prima idea (1910) “di unirsi maggiormente a don Bosco, di vivere dello stesso spirito, di perfezionarsi e di esercitare nel mondo le stesse opere esercitate dai salesiani”. Questo primo progetto matura nel tempo e giunge nel 1917 alla costituzione di una “Società di Figlie di Maria Ausiliatrice nel secolo”. Lo scopo era di cercare di tentare di dare vita ad una consacrazione secolare, vissuta secondo lo spirito e la missione di don Bosco. Il 26 ottobre del 1919, nella cappella delle camerette di don Bosco, ebbero luogo le prime professioni. Nasceva una nuova esperienza in cui si cercava di esprimere lo spirito salesiano in una forma di vita nuova ed adeguata. Come non pensare ai primi “salesiani esterni”!.

La costruzione della famiglia salesiana.

Proviamo ora ad elencare iniziative e mezzi di cui i successori di don Bosco si servirono per costruire, anno dopo anno, questo edificio vivente che è la Famiglia salesiana. Le “udienze pontificie” erano momenti privilegiati per l’animazione della Famiglia Salesiana, i viaggi dei Rettori Maggiori, le imprese missionarie, la preghiera, il “bollettino salesiano, i “Congressi salesiani, le Costituzioni e ni Regolamenti di don Bosco.

Possiamo concludere dicendo che l’essere della famiglia salesiana si radica profondamente in don Bosco, la vera guida spirituale, sia mentre era in vita come dopo la sua dipartita. Tale corrente d’amore, che non morì ma rimase viva, andò canalizzandosi con l’andamento naturale delle cose verso i Rettori Maggiori. Questi, a loro volta, si sforzarono d’instillare in ciascun dei gruppi lo zelo pastorale di don Bosco e divennero il centro naturale della Famiglia salesiana.

 

Bibliografia

BOSCO T, Famiglia salesiana. Famiglia di santi, LDC, Torino 2005

CAMERONI P, Come stelle nel cielo. Figure di santità in compagnia di don Bosco, LDC Torino 2015

MIDALI M (a cura), Costruire insieme la Famiglia salesiana, Atti del simposio di Roma (19-22 febbraio 1982), LAS Roma 1983

Carta della Comunione e carta della missione della Famiglia Salesiana.