PRIMA PARTE :

discussione e valutazione teologica

1.   Introduzione

Nell’Antico Testamento, Dio viene presentato come Colui che agisce con potenza in favore del popolo eletto (cfr. salmi 134-136). A differenza degli idoli, che non possono compiere prodigi perché “hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono“, il Signore “tutto ciò che vuole lo compie” (cfr. salmi 114-115). Nel Nuovo Testamento Gesù compie molti “segni” per manifestare l’avvento del Regno di Dio, mostrando l’amore salvifico che libera dal peccato e dalla morte[36] e suscitando la fede[37]. Questi “segni” sono, solitamente, suddivisi in: a) miracoli di guarigione (ad esempio, la guarigione del cieco nato o dell’emorroissa); b) miracoli sulla natura (la moltiplicazione dei pani, la tempesta sedata); c) epifanie (la trasfigurazione, le apparizioni post-pasquali). Essi hanno lo scopo di attestare che Gesù è il Messia inviato dal Padre (Gv 5,36), il Figlio di Dio (Gv 10,31). I miracoli sollecitano a credere in lui (Gv 10,38), non a soddisfare la curiosità e brame di magia. Il miracolo supremo è la resurrezione di Cristo (At 1,22).

In teologia i miracoli venivano classificati tradizionalmente all’interno dei “motivi di credibilità” della fede (cfr. DH 2779, 3034, 3876). Il Concilio Vaticano II ha invece preferito parlarne in termini di “segni di salvezza”, perché il loro utilizzo apologetico non venisse separato dal significato salvifico in Cristo. L’unica volta che Dei Verbum utilizza questo vocabolo, lo fa a proposito dell’autorivelazione di Dio in Cristo[38]. Il Catechismo della Chiesa Cattolica si sofferma su questa interpretazione dei miracoli del Signore durante il suo ministero terreno:

Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, della malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.[39]

Ci sono poi dei fini secondari del miracolo, ad esempio quello di essere finalizzato a un bene degli uomini, come può essere una guarigione. A volte i miracoli sono operati da Dio attraverso l’intercessione di candidati all’onore degli altari. In questi casi, tra i fini secondari vi è quello di offrire alla Chiesa la conferma divina per il riconoscimento della santità di un cristiano[40]. Il miracolo è considerato un’amorevole risposta di Dio, un segno autorevole che la persona invocata è in Paradiso e di là può intercedere per i fedeli della Chiesa militante.

2.   La dottrina di Benedetto XIV

Com’è noto, il Magister delle Cause dei Santi è Papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini, 1675-1758), già Promotore della Fede dell’allora Congregazione dei Riti, il quale, nella sua celebre Opera De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione afferma la necessità dei miracoli[41] come prova della volontà divina di glorificare un fedele[42]. Papa Lambertini constata che la maggioranza di questi fatti sono delle guarigioni ed elenca i criteri perché la Chiesa possa attestarne la straordinarietà:

a) occorre che la malattia sia considerata grave e seria, e ciò renda la sua cura impossibile o almeno assai difficile;

b) il fatto ritenuto straordinario non può sovrapporsi a ciò che potrebbe considerarsi ragionevolmente l’inizio di una guarigione naturale;

c) non devono essere state realizzate cure mediche e, se applicate, queste non devono aver recato alcun effetto adeguato alla risoluzione del caso;

d) la guarigione deve essere avvenuta in modo immediato ed istantaneo; ciò non viene richiesto per tutti i miracoli ma soltanto quando l’inspiegabilità scientifica di una guarigione riguarda la sua modalità (3° grado);

e) la guarigione deve essere avvenuta in modo totale e definitivo;

f) la guarigione non deve essere avvenuta a seguito di crisi fisiologiche che talvolta risolvono certe patologie in modo inaspettato (ad es. mediante l’espulsione di corpi estranei, di umori dannosi, ecc.);

g) la malattia non deve ripresentarsi dopo un certo tempo[43]; ciò dipenderà dal tipo di malattia, giacché alcune possono ricomparire anche parecchi anni dopo la guarigione (ad esempio, nelle patologie tumorali);

h) le cicatrici non sono incompatibili con il riconoscimento del miracolo (nel 2º e 3º grado);

i) possono verificarsi due miracoli nello stesso soggetto, se si hanno due guarigioni da malattie specificamente differenti.

Sebbene risentano del linguaggio del tempo, i criteri di Papa Lambertini mostrano un notevole rigore formale; essi sono ancora oggi parametri validi per chi deve discernere anche teologicamente il carattere miracoloso di una guarigione.

3.   La valutazione teologica

L’esame teologico del miracolo nelle Cause dei Santi subentra nella fase successiva alla dichiarazione dell’eroicità delle virtù di un Servo di Dio: nell’iter verso la Beatificazione si richiede il riconoscimento di un miracolo attribuito alla sua intercessione efficace; il miracolo non è richiesto per il riconoscimento del martirio. Successivamente, il miracolo viene nuovamente richiesto per la canonizzazione di un Beato, anche martire.

Quando si riconosce un miracolo si indica che qualcuno, in un momento di seria necessità, ha pregato un candidato alla gloria degli altari affinché il Signore, per sua intercessione, concedesse quanto richiesto con fede, venendo in soccorso con un evento inspiegabile.

Nella fase iniziale dell’Inchiesta occorre molta cautela perché lo studio di un possibile caso miracoloso coinvolge altre scienze, oltre alla teologia. Concretamente, se si tratta di un caso medico, la guarigione deve essere giudicata dagli specialisti come rapidacompletaduratura e inspiegabile secondo le attuali conoscenze medico-scientifiche, non provocata dalle terapie. Una volta verificate le caratteristiche della guarigione – o del caso straordinario che coinvolga qualsiasi altra disciplina scientifica – si dovrà accertare dal punto di vista teologico che l’invocazione del Servo di Dio sia stata elevata chiedendo esplicitamente la sua intercessione presso il Signore, che questa sia stata fatta prima della risoluzione del problema e che sia stata univoca (o almeno prevalente nel caso siano stati invocati vari Intercessori Celesti).

3.1 La prova del miracolo

A volte la fama di santità può apparire mescolata a una artificiosa propaganda che renderebbe difficile la valutazione della Chiesa. La prova del miracolo e quella delle virtù hanno un valore che viene considerato complementare: il miracolo assicura il sigillo divino in un giudizio umano come è quello che conclude il Processo; le virtù inseriscono il fatto prodigioso nella dinamica della sequela di Gesù, il quale affermò che chi crede in Lui farà le stesse opere che egli fece e ancora più grandi (Gv 14,12). Infatti, nella Chiesa post-pasquale descritta negli Atti, gli apostoli compiono miracoli dietro l’esempio e su mandato di Gesù: Pietro guarisce uno storpio (At 3,1-10), un paralitico (At 9,32-35) e risuscita una fanciulla (At 9,36-42), Paolo guarisce un paralitico (At 14,8-10), risuscita un ragazzo (At 20,7-12), rimane incolume al morso di una vipera (At 28,3-6). La Chiesa, da sempre, ha visto in questi fatti prodigiosi la conseguenza dell’unione intima degli Apostoli – e poi di tanti altri Santi – con Cristo; intimità che permette loro, anche dopo la morte, di intercedere a favore dei fedeli.

Poiché, come si è visto, la maggioranza dei miracoli presentati allo studio della Congregazione delle Cause dei Santi è rappresentato da guarigioni, l’elemento più importante che si deve accertare è l’inspiegabilità dal punto di vista medico[44]. Nondimeno, lo studio può coinvolgere altre discipline scientifiche. Ad esempio, per l’esame del miracolo che portò alla Beatificazione della Venerabile Maria di Gesù Crocifisso Petkovic (1892-1966), avvenuto in un sottomarino inabissatosi nelle acque peruviane nel 1988, si fece ricorso ad esperti di fisica: ad una profondità di 15 metri, con una pressione dell’acqua di 3,8 tonnellate, il comandante, che aveva invocato l’aiuto della Serva di Dio, riuscì ad aprire con estrema facilità il portellone del sottomarino e a salvare così l’equipaggio. In un’occasione troviamo addirittura l’intervento delle belle arti, come nel caso del miracolo che portò alla Beatificazione di Suor Eusebia Palomino Yenes (1899-1935): un artista invalido riuscì a dipingere con i piedi un quadro della religiosa in tempi assolutamente straordinari. Non sono mancati episodi di moltiplicazioni prodigiose, come la moltiplicazione del riso avvenuta in una mensa dei poveri in Spagna per intercessione di fra Juan Macias (1585-1645), e che lo portò alla canonizzazione nel 1975; o il caso della Beatificazione di Suor Irene Stefani (1891-1930): nel 1989, in Mozambico, molte persone, per fuggire da una delle fazioni armate coinvolte nella guerra civile, si erano rifugiate nella chiesa parrocchiale per alcuni giorni; dopo aver pregato la religiosa, l’acqua del fonte battesimale si moltiplicò permettendo a tutti la sopravvivenza: da quel fonte privo di collegamenti con l’esterno erano usciti almeno 200 litri di acqua.

Il coinvolgimento di varie discipline scientifiche fa sì che, in molte occasioni, i miracoli, una volta conosciuti dall’opinione pubblica, vengano esaminati con particolare interesse. Di conseguenza devono essere valutati con estremo rigore e giudicati inspiegabili in base alle conoscenze scientifiche attuali dalla maggioranza degli esperti coinvolti nell’esame.

3.2 I criteri dell’invocazione

Ai fini dell’attribuzione di un miracolo all’intercessione di un Servo di Dio o di un Beato non basta accertare il carattere miracoloso del fatto, ma occorre anche accertare il nesso causale tra l’invocazione ed il presunto miracolo, anche se, come ricorda Benedetto XIV, questo nesso si deve accettare con la fede, perciò la prova non può essere mai assoluta[45]. Si dovrà, pertanto, valutare se ci sia stata effettivamente l’invocazione. Si devono verificare le seguenti caratteristiche:

a) l’invocazione deve essere stata fatta chiedendo esplicitamente l’intercessione del Servo di Dio o del Beato presso il Signore per ottenere il miracolo in oggetto;

b) l’invocazione deve essere antecedente rispetto all’asserito miracolo (deve precedere il viraggio favorevole del decorso clinico);

c) l’invocazione deve essere univoca, o almeno prevalente rispetto ad eventuali invocazioni di altri Intercessori Celesti.

 La possibilità che ci siano diverse invocazioni capita soprattutto quando c’è molta gente che prega, ad esempio, per un malato. A volte è molto difficile sapere con certezza da chi un soggetto abbia ricevuto l’intercessione efficace. In questi casi, per provare il miracolo occorre accertare quale sia stata l’invocazione principale, di maggiore intensità rispetto alle altre. Per stabilirlo, tra i possibili criteri si considera l’eventuale apposizione di una reliquia sul malato o l’aver fatto una novena. Prevale la preghiera rivolta da più persone ad un Servo di Dio, cioè il criterio della coralità, che rappresenta il carattere ecclesiale della preghiera in contrapposizione ad invocazioni sporadiche o isolate ad altri Servi di Dio. Comunque, può essere riconosciuta come efficace anche l’invocazione elevata da una sola persona. Benedetto XIV stabilisce anche il criterio della temporalità: se la malattia fu lunga e furono invocati diversi Servi di Dio, si dovrà vedere concretamente quale Servo di Dio è stato invocato al tempo dell’inizio della guarigione[46]. Infine, il Magister stabilisce anche il criterio della graduatoria[47]: se si invocano contemporaneamente più Santi, il miracolo si dovrà attribuire a tutti; se invece si invoca un Santo e un Beato, l’invocazione del Santo prevale su quella del Beato. Questi criteri, però, devono essere integrati tra loro con sapienza: ad esempio, se una persona ha sporadicamente pregato un Santo e un’intera comunità ha fatto una novena ad un Beato, è possibile attribuire al secondo l’intercessione efficace. Dalla diversità di invocazioni si deve escludere quella della Beata Vergine Maria, la cui presenza nelle preghiere non è mai d’ostacolo per l’attribuzione dell’intercessione a qualsiasi Servo di Dio o Beato.

3.3 Grado dei miracoli

San Tommaso d’Aquino, dopo aver ricordato – sulla scia di S. Agostino – che i miracoli non agiscono contro le forze della natura ma certamente le superano, spiega che essi possono farlo in tre modi[48]. Di conseguenza, la teologia stabilisce la distinzione dei miracoli in tre gradi:

1° grado (quoad substantiam): il fatto non può essere compiuto dalla natura, come, per esempio, quando due corpi occupano uno stesso luogo nello stesso tempo o quando il corpo umano diventa glorioso. La transustanziazione, in tal senso, rientrerebbe in questa tipologia di miracoli.

2° grado (quoad subiectum): si tratta di fatti che superano le forze della natura non per la cosa prodotta, ma per il soggetto in cui viene prodotta: per esempio, la resurrezione dei morti, la guarigione di un cieco, una qualche straordinaria e naturalmente inspiegabile restitutio ad integrum. Siccome questo grado di miracolo fa riferimento alla persona che lo riceve e non al modo in cui si compie, non si richiede l’istantaneità.

3° grado (quoad modum): si tratta di fatti che superano le forze della natura per il modo in cui si verifica; nella maggioranza dei casi si tratta di guarigioni istantanee o comunque eccezionalmente rapide in relazione alla malattia esaminata (istantaneità relativa).

Nelle Cause di Canonizzazione a volte ci troviamo di fronte a miracoli difficili da classificare, ad esempio quando si combinano elementi di straordinarietà quoad subiectum e quoad modum.  A volte non si tratta di un bene positivamente procurato dal Signore, ma di un male che viene evitato, come quando S. Paolo fu preservato miracolosamente dagli effetti del veleno di una vipera[49]. Si tratta dei cosiddetti “miracoli negativi”, che oggi vengono comunemente considerati casi di scampato pericolo. Benedetto XIV scrive che secondo qualche autore, essi non erano ammessi, a motivo del loro difficile accertamento. Secondo altri autori, invece, anche i miracoli negativi sono ammissibili. Infatti, quando Benedetto XIV svolgeva il ruolo di Promotore Generale della Fede nella causa di S. Giacomo della Marca, venne discusso il caso di una bambina caduta da notevole altezza senza riportare danni; il fatto venne approvato come miracolo perché furono accertate tutte le caratteristiche dell’evento straordinario. Di per sé i miracoli negativi non rientrano in un grado determinato, tuttavia potrebbero essere assimilati a quelli di terzo grado: per esempio, il fatto che una persona cada senza riportare alcun danno non è straordinario a motivo della caduta ma a motivo delle circostanze in cui essa è avvenuta (un’altezza considerevole e un terreno duro). Infatti, le circostanze possono essere considerate in modo analogo a quello impiegato per valutare la modalità (la modalità, quomodo, è una circostanza).

4.   Alcune precisazioni

Com’è noto, l’esame teologico subentra a quello medico. Nell’approfondimento preliminare di un possibile miracolo è importante sincerarsi della sua consistenza medica, facendo preparare almeno una Perizia previa da parte di uno specialista che abbia anche dimestichezza con i nostri accertamenti canonici. Procedere con casi sin dall’inizio claudicanti per carenza di documentazione o per fragilità intrinseca espone a perdite di tempo, energie e denaro.

In passato era talvolta possibile assistere a qualche forma di sconfinamento degli ambiti, ad esempio con Teologi che formulavano giudizi contigui alla valutazione medica. Da anni ormai questo rischio viene scongiurato da una rigorosa distinzione dei ruoli. Nondimeno, talvolta i Periti ab inspectione – il cui compito è semplicemente quello di attestare lo stato di salute del sanato al momento della visita successiva al presunto miracolo – si lasciano andare a considerazioni sul merito della guarigione, entrando nel giudizio di inspiegabilità e spingendosi fino a ravvisarne il carattere miracoloso. Questo sconfinamento va evitato.

Nondimeno, come accennato, fra i compiti del Teologo rientra anche il giudizio su tre requisiti della guarigione, che deve essere istantanea (o almeno rapida, nei miracoli di terzo grado), completa e duratura. Tale valutazione teologica trae inevitabilmente spunto dalle definizioni conclusive della Consulta Medica, ma non coincide esattamente con esse. Ad esempio, laddove il giudizio medico sulla completezza segnala la permanenza di sequele comunque non invalidanti, l’esame teologico può notare che la guarigione ha innescato la conversione di intere famiglie: ciò che clinicamente è non del tutto completo, può essere teologicamente perfetto. Per il requisito teologico dell’istantaneità, invece, sarà importante individuare il viraggio favorevole del decorso clinico e accertare che l’evoluzione positiva non sia stata solo graduale. Nei casi in cui il sanato è ormai deceduto al tempo della pubblicazione della Positio super miro sarà importante inserire nel volume un documento che certifichi l’indipendenza della causa mortis rispetto alla patologia dell’asserito miracolo, al fine di comprovare il carattere duraturo della guarigione.

Non è un mistero che Dio possa fare miracoli senza particolari intercessioni o ascoltando l’intercessione della Madonna o di Santi noti, invocati quasi d’istinto dai fedeli nei concitati momenti del pericolo. Tuttavia, generalmente, quando si verifica un miracolo vi è sempre un contesto di preghiera abituale e persino insistente. Perché si agevoli la concessione di questo segno da parte di Dio, è quindi fondamentale divulgare la devozione al Candidato all’onore degli altari. Ad esempio, si possono organizzare iniziative di preghiera corale e continuata per una specifica intenzione, ci si può recare nelle cappellanie ospedaliere lasciando immaginette e novene al Servo di Dio – quante volte i miracoli nascono da simili circostanze “casuali”! –, invitare l’ammalato o i suoi parenti sulla tomba del Servo di Dio, ecc.

Non risolutivi eppure importanti sono altri elementi che possono accompagnare un miracolo. Talvolta si verificano sogni in cui il Servo di Dio preannuncia l’esaudimento dell’invocazione o invita a pregare. Questi elementi hanno un retroterra biblico e non vanno sottovalutati. Tuttavia, occorre evitare esagerazioni miracolistiche che screditano la serietà di un caso.

Molto dipende dall’attendibilità dei testimoni, che quindi vanno scelti con saggezza. La deposizione di una persona integerrima peserà di più rispetto a quella di un chiacchierone. In tal senso, non si vada al risparmio nell’interrogare persone che possono essere informate sulle iniziative di preghiera relative ad un asserito miracolo. È bene che casi di tanta rilevanza non siano suffragati semplicemente da 5 testimoni – magari nessuno convocato ex officio ma tutti indotti dal Postulatore, talvolta nessun medico curante – mentre dalle risposte risulta che molte altre persone sono al corrente dei fatti e possono essere interrogate. Ad esempio, abbiamo avuto casi in cui risultava la preghiera di intere comunità di religiose appartenenti alla Congregazione fondata dal Servo di Dio, ma nessuna di queste suore oranti è stata interrogata.

Non si abbia timore di chiedere l’escussione di medici non credenti, non cristiani o non cattolici perché spesso proprio in base ai loro giudizi, indirettamente, il caso acquista maggiore solidità rispetto alle valutazioni – talvolta persino tecniche – inficiate da presupposti poco scientifici (cfr. il miracolo per la Beatificazione di Madre Antonia Maria Verna). Non mancano guarigioni di non cristiani (cfr. il miracolo per la Canonizzazione di S. Daniele Comboni). Nell’approcciare i medici non cattolici si usi prudenza nel dire che lo scopo è l’accertamento di un miracolo, per evitare prevenzioni. In ogni caso, bisogna vigilare sulla privacy delle persone che non vogliono comparire nell’Inchiesta, le cui dichiarazioni potranno essere salvaguardate dal Tribunale tramite l’anonimato. Analoga attenzione si potrà avere con tutti i testi, soprattutto quando sono coinvolti minori. Per questo motivo, normalmente in Acta Apostolicae Sedis non vengono pubblicate le generalità delle persone sanate.

Ogni caso va comunque valutato nel suo contesto: ad esempio, non è la stessa cosa che una guarigione si verifichi in un moderno ospedale europeo o in un sanatorio africano povero di attrezzature scientifiche. Inoltre, si noterà il ripetersi di certe patologie in alcune parti del mondo: ad esempio, non di rado vengono segnalate guarigioni da “piede torto” in alcune zone dell’India.

Questa considerazione vale a maggior ragione per i presunti miracoli “storici”, che ovviamente sono ammessi ma sempre salvaguardando determinate condizioni: ad esempio, molto vale uno specifico accertamento canonico fatto a suo tempo – magari durante l’Inchiesta super virtutibus – o la documentazione dell’epoca che possa suffragare un giudizio di merito. Destano qualche perplessità presunti miracoli in cui le deposizioni vengono raccolte vari decenni dopo.

Soprattutto in casi storici sembra utile aggiungere un semplice elenco di asserite grazie insigni recenti che dimostrino come la fama di segni del Servo di Dio non è ferma al tempo del presunto miracolo di cui si tratta. Ovviamente nell’accertamento di un miracolo antico concorrono altri elementi di giudizio: ad esempio, la guarigione istantanea di una setticemia certificata clinicamente in epoca pre-antibiotica va giudicata con uno sguardo differente rispetto al nostro. Fatti del genere vanno valutati caso per caso. Oggi si fanno strada branche della scienza che, persino in base ad alcune opere d’arte – come le sculture del Canova o i quadri di Rubens – riescono a diagnosticare le malattie delle modelle coinvolte.

Sarà sempre utile pubblicare l’interrogatorio e, soprattutto, aver premura che contenga precise domande sull’invocazione. È capitato di ricevere Positiones super miro in cui venivano presentate Inchieste del tutto prive di un accertamento sull’invocazione. L’interrogatorio sull’intercessione deve essere completo e non deve indurre il teste ad una determinata risposta. Sono giunti Processi in cui l’unica domanda relativa alla parte teologica era la prima e aveva questo tenore: “Ha sentito parlare del Servo di Dio? Pensa che sia santo? Come è arrivato alla conoscenza del Servo di Dio? Desidera che sia proclamato santo?”. In un altro caso, l’unica domanda di “spessore teologico” è la seguente: “Ha sentito parlare del Servo di Dio? Ha qualche tipo di relazione familiare o spirituale con lei?”. In un’Inchiesta è importante invece chiedere in modo ampio e oggettivo: “Quali intercessori celesti sono stati invocati? Da chi? Quando? In che modo? Perché? C’era una particolare devozione al Servo di Dio?”.

 

SECONDA PARTE – NOTA SULLA NUOVA VIA DI

“OFFERTA DELLA VITA”

I recenti fatti di cronaca hanno evidenziato l’eroico gesto di un gendarme francese – il tenente colonnello Arnaud Beltrame – che ha messo a rischio la propria incolumità per la salvezza di altre persone, andando così incontro alla morte. Oblazioni del genere possono sorgere da profonde motivazioni cristiane, benché senza l’esercizio diuturno delle virtù eroiche o senza un vero e proprio martirio. La frase di Gesù “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13), applicata anzitutto ai martiri e a quanti hanno esercitato le virtù in grado eroico, può essersi realizzata quasi alla lettera nella libera e volontaria offerta della propria esistenza per amore, dinanzi alla concreta prospettiva della morte. Ad esempio, è questo il caso – già contemplato da Benedetto XIV – di coloro che hanno voluto assistere malati contagiosi, morendo per aver contratto il morbo. Tale supremo atto di carità ha dato eroico compimento ad un vissuto comunque cristiano. Perciò, il Santo Padre Francesco l’11 luglio 2017 ha promulgato il Motu Proprio Maiorem hac dilectionem (d’ora in poi MHD) con il quale ha aperto la possibilità della beatificazione di “quei cristiani, che seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito” (MHD, inizio). Il documento non è stato pensato per inaugurare nuove procedure e formalità giuridiche, ma per ampliare i modelli di santità beatificabile, che fino ad oggi consistevano unicamente nei martiri e negli eroi delle virtù cristiane. Perciò, ciò che riguarda l’inchiesta sull’offerta della vita seguirà in tutto la Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister e le Normae Servandae ab Episcopis. Sebbene non menzionata espressamente, anche l’Istruzione Sanctorum Materconserva la sua validità per le indagini diocesane di questa fattispecie.

1.   Perché una nuova via per la beatificazione? 

L’offerta della vita non aveva ancora ottenuto un’attenzione proporzionata alla sua rilevanza nel campo della santità beatificabile. Alla base del nuovo percorso per la beatificazione c’è una domanda di natura teologica: “L’offerta della vita, seguita dalla morte, può essere giudicata come una espressione di suprema ed eroica imitazione di Cristo?”. D’ora in poi l’offerta della vita è una via legittima e sufficiente per la beatificazione formale, purché l’offerta sia libera, volontaria, motivata dalla fede e tradotta in un “atto” di amore totale, eroico, irreversibile, ossia fino al sacrificio estremo di sé per gli altri. Chi agisce così, ha ricevuto dall’alto la grazia di esprimere volontariamente una perfetta imitazione di Cristo, che consapevolmente ha dato la vita per il mondo in un atto di carità infinita. Ciò non esclude che chi si offre totalmente possa prendere le opportune precauzioni per tutelare la propria vita, pur perseverando nella radicalità della sua offerta.

Per il tempo che precede l’offerta, normalmente si richiede una seria e coerente vita cristiana, anche se non eroica (virtù almeno ordinaria). Sarà valutato pure il caso particolare del peccatore che cambia vita e si offre con un atto eroico usque ad mortem. Dopo la decisione di offrirsi, sarebbe umanamente incomprensibile la perseveranza usque ad mortem se non ci fosse una forte determinazione soprannaturale. L’espressione “atto eroico” può indicare un comportamento straordinario di una certa durata temporale (fino alla morte), che tuttavia sarà sempre più breve rispetto a quella richiesta dall’eroismo delle virtù (convenzionalmente, almeno negli ultimi dieci anni).

 

2.   Quale offerta della vita? 

Non ogni offerta della vita è valida per la beatificazione, ma solo quella che corrisponde ai cinque criteri indicati dall’Art. 2 del Motu Proprio. 

Primo criterio: offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine”. Qui non si tratta di quel genere di offerta “ad omnia” che esigono più o meno formalmente alcuni istituti religiosi o che emettono ferventi cristiani che si consegnano alle mani di Dio, pronti anche a morire per la fede o altra virtù cristiana, se eventualmente fosse loro richiesto. Qui, neppure si tratta di quell’offerta pratica di sé che comporta quotidianamente un progressivo logoramento della salute fino ad incidere di fatto anche sulla durata della vita. Questo genere di offerta potrebbe appartenere all’ambito delle virtù, in cui la diuturnitas è una componente necessaria.

Non sembra, inoltre, che il Motu Proprio possa riguardare l’offerta di sé, certamente eroica, ma giuridicamente inverificabile, che alcune anime generose emettono per un fine spirituale (per es. ottenere vocazioni, conversioni, riparazione dei peccati, unità dei cristiani, pace tra i popoli, ecc) e alla quale segue realmente una morte prematura. Chi può garantire con prove obiettive e giuridiche che in questi casi la morte sia fisicamente collegata all’offerta? Il nesso morale, invisibile, nel nostro caso non basta. Come non basta una morte accidentale, imprevista, fortuita che travolge chi sta compiendo un’opera di carità, non particolarmente pericolosa (es. incidente stradale che causa la morte di un sacerdote durante il suo ministero…).

La fattispecie considerata dal Motu Proprio vuol riferirsi ad un’offerta personale, libera (persino oltre la Regola religiosa), consapevole, volontaria, mirata che il singolo fedele, toccato dalla grazia, fa di sua iniziativa per andare fisicamente, visibilmente in soccorso del prossimo bisognoso, che necessita di una concreta e ben definita prossimità che, qualora mancasse, ne deriverebbe un grave danno. In questa fattispecie potrebbero rientrare quei cristiani che si offrono spontaneamente per un atto di carità personale o sociale talmente rischioso da far prevedere come certo il sacrificio della vita. Normalmente si tratterà di certezza non assoluta ma morale, ossia che esclude ogni fondato e ragionevole dubbio. Se l’offerente consapevolmente va comunque avanti nel dono di sé, nonostante tale rischio, e di fatto muore, perseverando fino alla fine nell’atto di carità (evangelizzazione, ministero, assistenza spirituale o corporale, ecc.), si può parlare con fondamento di vera offerta della vita nel senso inteso dal Motu Proprio.

In questo nuovo percorso di beatificazione, sarà da valutare caso per caso, se vi possa rientrare anche la testimonianza di certe gestanti cristiane che, per non danneggiare l’incolumità del feto che portano in grembo, rifiutano scientemente cure assolutamente necessarie per la loro sopravvivenza, incamminandosi, così, verso una morte certa e prematura. È normale che in tale genere di offerta un ruolo di primo piano sia svolto dal naturale istinto materno, ma per una causa di beatificazione deve risultare, come motivazione prevalente, la visione cristiana della vita e la volontà di compiere propter caritatem una eroica offerta di sé in favore del nascituro. Altrettanto eroica appare l’offerta di chi prende liberamente il posto di un condannato a morte; di chi salta in aria per disinnescare un ordigno pericoloso per la comunità; di chi perisce in una rischiosa opera di salvataggio… Particolarmente delicato è il caso dei cappellani militari in tempo di guerra, i quali normalmente cercano di evitare la morte come tutti, a meno che, volontariamente, per ragioni pastorali gravissime e urgenti, affrontano situazioni sicuramente mortali, come ad esempio, il cappellano che, anziché mettersi in salvo, continua ad assistere un moribondo sotto il fuoco nemico, fino a rimanerne ucciso. In questo caso si può parlare di vera offerta della vita.

La casistica potrebbe essere ampia, ma in ogni caso gli elementi essenziali sono sempre gli stessi: libertà, volontarietà, consapevolezza, carità cristiana, nesso fisico tra l’offerta e la morte.

Il movente, che spinge l’offerente ad agire, deve essere documentabile, ispirato dalla fede e centrato sulla carità verso il prossimo, in modo che la motivazione religiosa risulti moralmente certa e prevalente rispetto ad altre eventuali motivazioni concomitanti. L’indagine canonica su questo punto sarà rigorosa e non potrà dare per scontato quello che invece deve essere provato. 

Secondo criterio: nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura”. Il nesso è più di una successione cronologica di eventi. Nel nostro caso, la morte non ci sarebbe stata se l’offerente non avesse coinvolto volutamente, fisicamente, visibilmente la sua vita in un atto eroico di carità. La morte, quindi, sarebbe un effetto previsto e anche voluto? Non si tratta di suicidio: la “causa diretta della morte” è il pericolo oggettivo (es. peste), mentre “la causa indiretta” è l’offerta di sé. A parte gli aspetti verbali, che hanno la loro importanza, la sostanza è che nella nostra fattispecie l’offerente vuole compiere coscientemente un atto di carità che, però, è anche mortale. Il fine principale dell’offerente è l’atto di carità e il bene che ne consegue, e non la morte che di fatto ne deriva. Chi curava gli appestati, lo faceva per aiutare gli altri, non per distruggere se stesso.  

Terzo criterio:esercizio almeno in grado ordinario delle virtù cristiane prima dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte. Il Motu Proprio, all’Art. 4, fa intendere che duplice è l’oggetto dell’indagine canonica. L’attenzione primaria è sull’atto eroico di carità (dall’inizio alla fine) e, poi, sulle singole virtù cristiane, esercitate dal Servo di Dio “saltem in gradu ordinario”. Un’accurata indagine processuale sulle virtù in ispecie, pertanto, è inevitabile, seguendo possibilmente lo schema tradizionale dell’indagine canonica (virtù teologali, cardinali ed annesse). Le virtù, esercitate tra l’offerta di sé e la morte (normalmente per un breve periodo), potrebbero anche risultare tutt’altro che ordinarie, anzi eccellenti, straordinarie, brillanti, ma se manca la diuturnitas non possiamo tecnicamente considerarle abiti eroici, nel senso richiesto dalle causesuper virtutibus.

È normale che a cominciare dal momento dell’offerta di sé, il livello delle virtù diventi esemplare, anzi eroico in forza della connessione delle virtù. In ogni modo, è necessario verificare l’esistenza di una solida e convincente struttura cristiana della vita anche per il periodo precedente all’offerta, in modo da rendere moralmente fondata la motivazione evangelica dell’offerta. In concreto, per esempio occorrerà che l’offerente non sia determinato dall’istintività, dall’infatuazione, dall’esaltazione, dall’esibizionismo, dall’ostentazione ecc. Chi si offre dovrà, inoltre, sapere preventivamente a che cosa va incontro con la sua decisione e quali ripercussioni potrebbe avere nell’interessato bisognoso. Dovrà, inoltre, valutare se l’offerta di sé è evangelicamente prudente e proporzionata alle necessità del prossimo e all’effetto benefico che ne potrebbe effettivamente derivare. L’offerta della vita è un atto di amore che deve avere una sua ragionevolezza; non può essere provocato da motivazioni futili, né essere finalizzato a risolvere situazioni oggettivamente irrisolvibili (alla Don Chisciotte). Perché l’offerta non diventi un delirio, un’utopia, un miraggio, dovrà aderire alla realtà così come può essere percepita da una mente sana, prudente e illuminata dalla fede. I giudici, poi, dovranno verificare con quale spirito di carità, di pazienza, di mitezza, di pace, di umiltà l’offerente ha perseverato fino alla fine nell’offerta di sé. Sarà anche da vedere se chi si offre per il prossimo non si sottragga in questo modo ai diritti fondamentali di altri, ai quali si è legati da obblighi di giustizia. 

Quarto criterioesistenza della fama di santità e di segni, almeno dopo la morte”. Normalmente, le cause di beatificazione e canonizzazione salgono dal basso, perché è il popolo di Dio, nelle sue diverse articolazioni, che vede e segnala ai vescovi i campioni della fede, meritevoli degli onori degli altari. La fama di santità deve essere spontanea, non procurata artificialmente o costruita da interessi umani, condivisa tra persone serie ed oneste, continua, cresciuta nel corso del tempo e tuttora viva presso la maggior parte del popolo. È comune opinione che l’autore ultimo di una vera fama di santità sia Dio stesso, il quale prende l’iniziativa di additare al suo popolo quali siano i cristiani che lui desidera glorificare nella Chiesa. L’atto eroico di offrire la vita non è un fatto comune e frequente per cui non può non attirare l’ammirazione altrui. L’ammirazione, poi, si può sviluppare in imitazione e invocazione. Tale risultato è quanto chiamiamo fama di santità. Nella lettera del 24 aprile 2006, in occasione di una Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi, Benedetto XVI scriveva “non si potrà iniziare una causa di beatificazione e canonizzazione se manca una comprovata fama di santità, anche se ci si trova in presenza di persone che si sono distinte per coerenza evangelica e per particolari benemerenze ecclesiali e sociali”. 

Quinto criterionecessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione”. La stessa cosa si richiede per la beatificazione dei Servi di Dio che hanno già avuto il riconoscimento dell’eroicità delle virtù teologali, cardinali ed annesse. Anche nella fattispecie dell’offerta della vita il miracolo è la ratifica di Dio al giudizio “umano” della Congregazione. Scriveva Benedetto XVI nella citata lettera: “oltre a rassicurarci che il Servo di Dio vive in cielo in comunione con Dio, i miracoli costituiscono la divina conferma del giudizio espresso dall’autorità ecclesiastica sulla sua vita virtuosa […]. La prassi ininterrotta della Chiesa stabilisce la necessità di un miracolo fisico, non bastando un miracolo morale”.

3.   Alcuni esempi 

Con il tempo la Chiesa avrà Santi e Beati che sono arrivati agli onori degli altari grazie al dono di sé, usque ad mortem. Anche nel passato c’è stato questo genere di eroica testimonianza, ma, come si è detto, non ha potuto avere il suo riconoscimento se non nell’ambito del martirio o delle virtù eroiche. I casi qui riferiti possono essere utili per la comprensione.

1) San Girolamo Emiliani (1486-1537) fu vittima dell’assistenza agli appestati. La peste che infierì in Somasca al principio del 1537, vide Girolamo prodigarsi per assistere i colpiti dal terribile morbo, da cui rimase a sua volta inesorabilmente contagiato.

2) San Luigi Gonzaga (1568-1591) dopo molte insistenze, nel 1591 ottenne dai Superiori di dedicarsi all’assistenza degli appestati di Roma, pur sapendo il grave rischio che correva. Infatti, quella peste fu particolarmente aggressiva e contagiosa: su una popolazione di circa centomila abitanti, ne morirono addirittura sessantamila.

3) San Damiano de Veuster (1840-1889) partì per le Hawaii nel 1863, al posto del fratello Panfilo, che si era ammalato. Nel maggio 1873 volontariamente si offrì di andare ad assistere “per sempre” i lebbrosi nell’isola di Molokai. Divenne lebbroso nel 1885 e morì nel 1889. La causa di beatificazione procedette, come era giusto, per viam virtutum, anche se per molti padre Damiano era una sorta di martire. Il suo calvario fu così lungo che ebbe il tempo necessario (diuturnitas) per acquisire le virtù eroiche e arrivare alla beatificazione per questa via.

4) Santa Gianna Beretta in Molla (1922-1962) maturò la sua vita cristiana in famiglia, nell’Azione Cattolica e nella professione medica. Sposatasi nel 1955, visse esemplarmente la sua fede come sposa e madre. Durante la terza gravidanza dovette subire un delicatissimo intervento chirurgico alle ovaie. La consegna da lei data ai medici fu “salvate la mia creatura”. Contro il parere di tutti, portò a termine la sua gravidanza. Una settimana dopo il parto, morì vittima del suo sacrificio per salvare la figlia.

Il Motu Proprio Maiorem hac dilectionem è l’ultima tappa di un cammino, che Papa Francesco affida come nuova opportunità alla Chiesa e in particolare ai pastori, ai teologi, ai giuristi e a quanti promuovono le Cause dei Santi e cercano lo splendore di Cristo sul loro volto.

5. Bibliografia essenziale

5.1 Sui miracoli

Francesco Antonelli, De inquisitione medico-legali super miraculis in causis beatificationis et canonizationis, Romae 1962.

Benedetto XIV, De servorum beatificatione et beatorum canonizatione, Prato, 1839-1842, vol. IV.

René Latourelle, Miracles de Jésus e théologie du miracle, Montréal, 1986.

Giuseppe Tanzella Nitti, Teologia e scienza, le regioni di un dialogo, Roma, 2003.

Andrea Resch, Miracoli dei Beati 1983-1990, Città del Vaticano, 1999.

Fabijan Veraja, La canonizzazione equipollente e la questione dei miracoli, Roma, 1975

5.2 Sull’Offerta della Vita

Congregazione delle Cause dei Santi, L’Offerta della Vita nelle Cause dei Santi, Città del Vaticano 2017.

 

Mons. Carmelo Pellegrino

Promotore della fede

Seminario 2018

 

 

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(SDB) LA TEOLOGIA DEI SANTI – fr François-Marie Léthel ocd