31 gennaio – Festa di San Giovanni Bosco

Giovanni Bosco nacque dalle seconde nozze di Francesco con Margherita Occhiena il 16 agosto 1815 e fu battezzato il giorno successivo con i nomi di Giovanni Melchiorre. Il padre era affittuario dei Biglione e abitava in una loro cascina ai Becchi nel territorio di Morialdo, frazione di Castelnuovo d’Asti. Stroncato da una polmonite l’11 maggio 1817, Francesco Bosco lasciò alle cure della moglie Margherita i suoi tre figli: Antonio, nato nel 1808 dalla prima moglie – Margherita Cagliero – Giuseppe, nato nel 1813, e Giovanni. La famigliola, traslocato in una casetta rustica riadattata ad abitazione, trascorse anni duri in tempi di congiunture sfavorevoli per il mondo contadino. Giovannino, educato con profondo intuito umano e cristiano dalla mamma, viene però dotato dalla Provvidenza di doni, che lo fanno, fin dai primi anni, l’amico generoso e diligente dei suoi coetanei. Tuttavia, date le strettezze familiari e le tensioni con il fratellastro a motivo delle proprie inclinazioni allo studio fu mandato a lavorare come garzone alla cascina Moglia, dal febbraio del 1828 al novembre del 1829. Rientrato in famiglia, grazie all’appoggio del vecchio cappellano don Giovanni Calosso gli fu consentito di proseguire gli studi elementari a Castelnuovo e quelli umanistici nel regio collegio di Chieri. Egli fin da fanciullo sentì di aver ricevuto una speciale vocazione e di essere assistito e quasi guidato per mano, nell’attuazione della propria missione, dal Signore e dall’intervento materno della Vergine Maria, che fin dal sogno profetico dei nove anni gli indicano il campo di lavoro e la missione da compiere. La sua giovinezza è così l’anticipo di una straordinaria vocazione educativa e pastorale. Apostolo tra i compagni, fonda negli anni di scuola a Chieri la Società dell’Allegria. Fin da fanciullo sente la chiamata a conformarsi in maniera perfetta alla figura di Cristo Buon Pastore e questa identificazione maturerà nel corso della sua intera esistenza con una progressiva incarnazione del ministero sacerdotale secondo una modalità propria: essere segno del buon Pastore per i giovani e per la gente del popolo.

A 20 anni
Ventenne, nel 1835 fa la scelta decisiva: entra nel seminario vescovile di Chieri. Quelli del seminario furono per lui anni di travaglio spirituale, se non altro perché l’ambiente disciplinato e l’insegnamento teologico morale rigorista contrastavano con il suo temperamento portato alla libertà espansiva e all’inventiva in campo operativo. In questo seminario Giovanni Bosco assimilò i valori che l’austero regolamento e la tradizione formativa proponevano ai giovani chierici: studio intenso, spirito di sincera pietà, ritiratezza, obbedienza, disciplina interiore ed esteriore. Può contare tuttavia sulla conoscenza di don Giuseppe Cafasso, nativo anch’egli di Castelnuovo e collaboratore del teologo Luigi Guala a Torino in quel “Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi” destinato al perfezionamento del giovane clero nella pratica pastorale. Fino al termine della propria vita, il Cafasso sarà per don Bosco maestro di teologia morale e di “pastorale pratica”, e insieme confessore, direttore spirituale, consigliere.

Sacerdote
Ordinato sacerdote a Torino dall’arcivescovo Luigi Fransoni il 5 giugno 1841, don Bosco trascorse l’estate e l’autunno tra i Becchi e Castelnuovo in aiuto del parroco. Nel novembre preferì tornare a Torino nel Convitto Ecclesiastico per compiervi il triennio di perfezionamento teorico e pratico. Qui ricevette una qualificazione pastorale teorica e pratica e consolidò la sua vita interiore. Tratti salienti di questa spiritualità sacerdotale propugnata dal Cafasso sono: centralità del servizio divino, animato dal profondo amore del Signore, dal desiderio di conformazione alla divina volontà, dalla totale disponibilità al suo servizio con prontezza, esattezza e garbo; spirito di orazione, di dolcezza e di carità, di povertà, distacco e mortificazione, di umiltà e lavoro intenso; dono assoluto di sé nella cura pastorale del prossimo, zelo instancabile per accogliere, avvicinare, cercare, animare, esortare, istruire, incoraggiare persone di ogni età e categoria, soprattutto gli umili, i piccoli, i poveri e i peccatori; tensione missionaria; dedizione senza pausa alla predicazione, alla catechesi, al sacramento della penitenza; tenera devozione mariana, senso di appartenenza ecclesiale e devozione al Papa e ai pastori della Chiesa. Oltre alla formazione morale, il novello sacerdote si dedicò all’istruzione catechistica dei ragazzi e accompagnò don Cafasso nell’assistenza spirituale ai giovani rinchiusi nelle carceri cittadine.

Situazione dei giovani
Il giovane sacerdote inoltre è sempre più coinvolto nei profondi e complessi mutamenti politici, sociali e culturali che segneranno tutta la sua vita: moti rivoluzionari, guerra ed esodo della popolazione dalle campagne verso le città sono tutti fattori che incidono sulle condizioni di vita della gente, specialmente se appartenente ai ceti più poveri. Addensati nelle periferie delle città, i poveri in genere e i giovani in particolare diventano oggetto di sfruttamento o vittime della disoccupazione; durante la loro crescita umana, morale, religiosa, professionale sono seguiti in maniera insufficiente e spesso non sono per niente curati. Sensibili a ogni mutamento, i giovani restano sovente insicuri e smarriti. Di fronte a questa massa sradicata l’educazione tradizionale rimane sconvolta: a vario titolo filantropi, educatori ed ecclesiastici si sforzano di venire incontro ai nuovi bisogni.

Cappellano
Nell’ottobre 1844 don Bosco ottenne un impiego come cappellano dapprima dell’Opera del Rifugio e poi dell’Ospedaletto di Santa Filomena: due istituti femminili fondati da Giulia Colbert, marchesa di Barolo, entrambi a nord-ovest della città, non distanti dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza del canonico Giuseppe Cottolengo e non distanti da Porta Palazzo, il grande mercato cittadino. Nella nuova residenza don Bosco accoglie i giovani che gli si erano affezionati al convitto: garzoni, apprendisti, studenti e immigrati affluiscono in numero sempre crescente. Grazie alle proprie capacità personali li intrattiene impegnandosi direttamente nei loro svaghi e ottenendo la partecipazione a momenti d’istruzione religiosa e di culto. A quelle riunioni tenute al Rifugio, assegna il nome di “catechismo” e poi stabilmente quello di “Oratorio di San Francesco di Sales”.

L’Oratorio inizia
Dotato di una felice intuizione del reale e attento conoscitore della storia della Chiesa, egli ricava dalla conoscenza di tali situazioni e dalle esperienze di altri apostoli, specialmente di San Filippo Neri e di San Carlo Borromeo, la formula dell’“oratorio”. Gli è singolarmente caro questo nome: l’oratorio caratterizzerà tutta la sua opera, ed egli lo modellerà secondo una propria originale prospettiva, adatta all’ambiente, ai suoi giovani e ai loro bisogni. Come principale protettore e modello dei collaboratori sceglie San Francesco di Sales, il santo dallo zelo multiforme e dall’umanissima bontà che si manifestava soprattutto nella dolcezza del tratto. L’oratorio diviene itinerante tra il 1845 e il 1846 pur gravitando nella zona tra i prati di Valdocco, degradanti verso la Dora Riparia, e Porta Palazzo, dove era più facile prendere contatto con i ragazzi. A Valdocco don Bosco si stabilisce definitivamente nella primavera 1846, dapprima in poche stanze e una tettoia adattata a cappella, prese in affitto in una costruzione di estrema periferia (la casa Pinardi); poi con l’acquisto dell’intero edificio e del terreno adiacente. Sicuramente già in quegli anni dà rilievo al motto “Da mihi animas caetera tolle” (che usò tradurre: “O Signore, datemi anime e prendetevi tutte le altre cose”) e lo ritenne tanto importante e significativo da farlo riprodurre in un cartello che tenne affisso nella propria stanza fino agli ultimi giorni di vita. L’oratorio di Valdocco s’ispirava a quello dell’Angelo custode aperto nel 1840 da don Cocchi ai margini del borgo cittadino di Vanchiglia. Dato il favore ottenuto dai due primi oratori, un terzo intitolato a San Luigi fu aperto nel 1847 nella zona di Porta Nuova. L’“Opera degli Oratori”, iniziata nel 1841 con un “semplice catechismo”, si espande progressivamente per rispondere a situazioni ed esigenze pressanti: l’ospizio per accogliere gli sbandati, il laboratorio e la scuola di arti e mestieri per insegnar loro un lavoro e renderli capaci di guadagnarsi onestamente la vita, la scuola umanistica aperta all’ideale vocazionale, la buona stampa, le iniziative e i metodi ricreativi propri dell’epoca (teatro, banda, canto, passeggiate autunnali) per favorire una sana crescita dei ragazzi.

Casa annessa all’Oratorio
Anche per gli oratori il ’48 fu un periodo di crisi. Don Cocchi fu propenso a condividere gli entusiasmi patriottici dei giovani; don Bosco si mantenne più cauto e più attento alla linea di opposizione assunta dall’arcivescovo Fransoni. La ripresa avviene attorno al 1850, grazie alla tenacia di ecclesiastici e laici suoi collaboratori (tra essi, il teologo G.B. Borel e i cugini Roberto e Leonardo Murialdo). Per iniziativa del Fransoni, ormai in esilio a Lione, don Bosco è nominato nel 1852 “direttore capo spirituale” dei tre oratori maschili di Valdocco, Porta Nuova e Vanchiglia. Dato l’aumento dell’affluenza giovanile agli oratori, con il sostegno della popolazione e quello ufficiale delle autorità cittadine, si poté sostituire alla tettoia-cappella di Valdocco una chiesa più ampia intitolata a San Francesco di Sales (1851-52), e poi impegnarsi nell’acquisto di nuovi terreni e nella costruzione di una “Casa annessa all’oratorio” per l’accoglienza e l’istruzione sia di giovani studenti sia di apprendisti in alcuni mestieri più promettenti: calzolai e sarti (1853), legatori (1854), falegnami (1856), tipografi (1861), fabbri e ferrai (1862). Dopo l’anno del colera (1854), la popolazione giovanile ospitata nelle scuole-convitto di Valdocco superò rapidamente il centinaio e giunse fino a oltre ottocento persone nel 1868. In quest’anno, per iniziativa e impegno di don Bosco fu consacrata sul terreno dell’oratorio di Valdocco un’ampia chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice (Auxilium christianorum) destinata ai giovani e alle necessità spirituali del quartiere. Per la difesa e la promozione della fede tra il popolo cristiano, egli istituì nel 1869 l’Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

Buoni Cristiani e onesti Cittadini
L’insieme di queste realizzazioni permise a don Bosco di lanciare gli appelli più vari nell’intento di mobilitare consensi e sostegni finanziari; dal 1853 organizzò lotterie di beneficenza ottenendo introiti che gli permisero di allargare e migliorare gli edifici degli oratori e di accogliere, gratuitamente o quasi, giovani artigiani e studenti delle classi ginnasiali. In appelli indirizzati in genere alla popolazione, egli dichiarava di volere formare “onesti cittadini e buoni cristiani”. Quando si rivolgeva alle autorità politiche e amministrative chiedeva sostegni e sussidi per opere che miravano a prevenire la delinquenza minorile, togliere dalla strada giovani che altrimenti sarebbero finiti nelle carceri, formare cittadini utili alla società. Erano formule che poi si coagularono nel suo scritto pedagogico più noto: Il sistema preventivo nell’educazione della gioventù (Torino 1877). L’espressione felice: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai” è la parola e, prima ancora, la scelta educativa fondamentale del santo: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”. E, veramente, per essi egli svolge un’impressionante attività con le parole, gli scritti, le istituzioni, i viaggi, gli incontri con personalità civili e religiose; per essi, soprattutto, manifesta un’attenzione premurosa rivolta alle loro persone, perché nel suo amore di padre i giovani possano cogliere il segno di un Amore più alto.

Pubblicazioni educative
Don Bosco comincia a distinguersi anche con la pubblicazione di alcune operette destinate ai giovani e più volte riedite: Storia ecclesiastica ad uso delle scuole (1845), Storia sacra per uso delle scuole (1847), Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri (1847), Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità (1849). Nel marzo 1853, con il sostegno del vescovo d’Ivrea L. Moreno, inizia la pubblicazione delle Letture cattoliche, collana di fascicoletti periodici di piccolo formato, in media sul centinaio di pagine, a carattere monografico, scritti in stile facilmente accessibile a lettori di prima alfabetizzazione del mondo artigiano e contadino. Nelle Letture cattolichedon Bosco riversa la gran parte dei suoi scritti apologetici, catechistici, devozionali e agiografici mirando appunto a presentare positivamente la Chiesa cattolica, il Papato, l’opera degli oratori.

Collegi-convitti
La Legge Casati (1859), disponendo l’obbligo dell’organizzazione scolastica nei Comuni, offrì a don Bosco l’occasione per allargare il campo delle sue iniziative. Dopo l’esperimento di piccoli seminari vescovili gestiti sotto la propria responsabilità (Giaveno, nella diocesi di Torino, nel 1859, e Mirabello Monferrato, nella diocesi di Casale, nel 1863, trasferito nel 1870 a Borgo San Martino), si spinse con più decisione sul terreno delle scuole pubbliche offrendosi alla gestione sotto la propria responsabilità di collegi-convitti municipali; fu la volta di Lanzo Torinese (1864), Cherasco (1869), Alassio (1870), Varazze (1871), Vallecrosia (1875), tutti istituti ai quali venne di norma affiancato l’oratorio e che si aggiungevano a quelli che a vario titolo erano legalmente riconosciuti come ospizi di beneficenza o scuole private (nel 1872 Genova-Sampierdarena, ecc.).

Sacerdote zelante
Don Bosco non fu dunque un prete che si lasciò paralizzare dalle situazioni instabili e mutevoli nelle quali viveva, ma un prete che, proprio in tali situazioni e circostanze, seppe essere ministro del Signore, figlio della Chiesa, apostolo di Cristo nell’annuncio del Vangelo, nell’accoglienza dei poveri e soprattutto nella predilezione per i ragazzi e i giovani. Si può sottolineare il suo ardimento, la sua intraprendenza, la sua fantasia ispiratrice di soluzioni, ma non si possono mai separare queste qualità così appariscenti dell’uomo don Bosco da quella sua ricchezza interiore sostanziata di vigorosa e rigorosa ascesi, di profondo senso di fede e anche di continua dedizione al ministero nella Chiesa. Quest’armonia tra le doti umane e le risorse misteriose della fede e della grazia caratterizzò il suo sacerdozio, rendendolo così splendente e così fecondo. In lui la simbiosi tra azione e contemplazione appariva come logica conseguenza del sacerdozio ministeriale. Nella sua vita non c’era posto per dualismi problematici, ma c’era posto solo per obbedire allo Spirito, per essere toccati dalle urgenze della carità e per essere continuamente nutriti e sostanziati da una forza derivante dalla preghiera e dall’Eucaristia che lo rendeva infaticabile, pur vivendo egli una misteriosa consunzione del suo essere per il bene della Chiesa e della gioventù.

Progetto e approvazione della Società di San Francesco di Sales
Chiuso per ordine di monsignor Fransoni il seminario metropolitano (1848), don Bosco dà ospitalità ai chierici diocesani che comunque in città seguivano le lezioni impartite dai professori del seminario. A questi chierici era naturale che si aggiungessero quei ragazzi degli oratori che entravano nella carriera ecclesiastica. Da Valdocco e dagli altri suoi collegi, lui vivente, uscirono circa 2.500 sacerdoti per le diocesi piemontesi e liguri. L’esempio e l’incoraggiamento di don Bosco spinsero molti vescovi a superare indugi dovuti a problemi economici e ad aprire o riorganizzare seminari minori. Diversi rettori impararono da lui l’utilizzo di strumenti pedagogici e spirituali, idonei alla formazione dei giovani sacerdoti, quali l’amorevolezza e la paterna assistenza che suscitano confidenza, la frequente confessione e comunione, la pietà eucaristica e mariana. Singolare per i tempi, e più tardi imitata da tanti, fu la cura specifica delle vocazioni adulte con l’istituzione di appositi seminari e scuole. Tali circostanze si prolungarono fin oltre il 1860 e consentirono a don Bosco di avere un personale più stabile e più in sintonia con i propri metodi educativi per gli oratori e le scuole.
Maturò così il disegno di sostituire alla Società o Congregazione degli oratori, formata per lo più da ecclesiastici e laici di buona volontà, un gruppo reclutato tra i suoi chierici e collaboratori laici. Si era negli anni del dibattito politico che portò negli Stati Sardi alla soppressione di ordini religiosi e di altri enti ecclesiastici. Seguendo il consiglio di Urbano Rattazzi, don Bosco pensò a un’associazione di persone che, senza rinunziare ai diritti civili, si proponesse finalità di bene pubblico, e più in concreto l’educazione della gioventù, quella più povera e abbandonata. All’interno del gruppo, don Bosco dava però coesione alle finalità comuni con vincoli religiosi. Per i suoi Salesiani elaborò pertanto la formula: “Cittadini di fronte allo Stato; religiosi di fronte alla Chiesa”. Recatosi a Roma nel febbraio-aprile 1858, fu accolto con simpatia da chi lo conosceva come direttore delle Letture cattoliche e di fiorenti oratori giovanili, o anche con la fama di santo sacerdote e taumaturgo. Ottenuta qualche udienza pontificia, entrò in sintonia con Pio IX e ne ricevette caldi incoraggiamenti per tutti i suoi progetti. Il 18 dicembre 1859 con altri diciotto giovani diede inizio ufficiale alla Società di San Francesco di Sales. Nel 1864 ottenne da Roma il Decretum laudis per la Pia Società di San Francesco di Sales e l’avvio delle pratiche per il corrispettivo esame delle Regole o costituzioni, nel 1869 l’approvazione pontificia definitiva della Società salesiana e nel 1874 quella delle Regulae seu constitutiones.

Le Figlie di Maria Ausiliatrice
Secondo gli stessi criteri e col medesimo spirito Don Bosco cercò di trovare una soluzione anche ai problemi della gioventù femminile. Il Signore suscitò accanto a lui una confondatrice: Maria Domenica Mazzarello, oggi santa, coadiuvata da un gruppo di giovani compagne già dedicate, nella parrocchia di Mornese (Alessandria), alla formazione cristiana delle ragazze. Il 5 agosto 1872 con Maria Mazzarello fonda le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Negli anni successivi, con il sostegno delle istituzioni pubbliche e private più varie, poté aprire oratori, collegi, ospizi, scuole agricole, oltre che in Italia, in varie parti dell’Europa: Nizza Mare (1875), La Navarre (1878), Marsiglia (1878), Saint-Cyr (1880) e Parigi (1884) in Francia; Utrera (1880) e Barcellona-Sarriá (1884) in Spagna; Battersea (1887) in Inghilterra; Liegi (1887) in Belgio.

Congregazione di diritto pontificio
In questi anni vanno intanto crescendo le incomprensioni e i contrasti con la curia arcivescovile di Torino soprattutto in merito al tipo di formazione che era offerta presso le opere di don Bosco: effettivamente si andava profilando un modello di religioso e di sacerdote che era in controtendenza con quanto si proponevano un po’ dappertutto i vescovi e la stessa Santa Sede, più aperto e intento a superare una certa separatezza tra clero e popolo. La divergenza divenne conflitto quando, all’arcivescovo Riccardi di Netro (morto nel 1870), successe come arcivescovo monsignor Lorenzo Gastaldi (1871), che pure in passato era stato ammiratore, collaboratore e benefattore di don Bosco. Il Gastaldi mosse dal presupposto che la Società salesiana fosse diocesana, perciò a pieno titolo sotto l’autorità vescovile. Intervenne pertanto in modo pressante su don Bosco e presso la Santa Sede perché fossero prese decisioni nel senso da lui voluto. Il contrasto s’inasprì quando nel 1878-79 furono pubblicati a Torino cinque libelli che criticavano duramente la gestione diocesana dell’arcivescovo e il trattamento da lui usato a don Bosco. Il Gastaldi se ne lamentò con la Santa Sede, insinuando che di essi fosse ispiratore l’indocile fondatore dei Salesiani. Su richiesta di Leone XIII, don Bosco dovette piegarsi a un atto di scusa con l’arcivescovo e a un documento di “concordia” (16 giugno 1882); ma il gelo tra i due rimase e si ripercosse a lungo nell’atteggiamento sia del clero diocesano sia dei Salesiani. Morto il Gastaldi (25 marzo 1883), nella sede di Torino gli successe Gaetano Alimonda. Appena l’anno dopo don Bosco ottenne il decreto di estensione ai Salesiani dei privilegi concessi dalla Santa Sede ai Redentoristi, incluso perciò quello dell’esenzione dalla giurisdizione vescovile (28 giugno 1884).

Aiutato dal Papa e dalle Autorità
Don Bosco incarnò un esemplare amore alla Chiesa e al Papa, rendendoli ideali programmatici della propria vita. I suoi tempi non furono tempi nei quali l’amore alla Chiesa fosse di moda, al contrario: ma egli amò la Chiesa, dichiarò d’amarla, la difese, la servì, ne fece un ideale di vita e una bandiera d’impegno. E non si tratta soltanto dell’amore alla Chiesa universale e al Papa, ma si tratta di amore e di fedeltà alla Chiesa locale. La sua Chiesa locale, Giovanni Bosco la amò sempre e anche nei momenti difficili, quando la comprensione non era atteggiamento facile. Non prese le distanze, non si rifugiò nell’universalismo della Chiesa per sentirsi estraneo nella Chiesa che lo aveva visto nascere, lo aveva cresciuto, gli aveva aperto gli spazi della carità.
Inoltre con il passare degli anni don Bosco fu attento a coltivare i sostegni che erano possibili sollecitare entro i quadri della monarchia e dello Stato liberale: nelle lotterie, tra i premi posti in lizza c’erano puntualmente quelli offerti da qualche membro della casa regnanteTrasferito il governo a Firenze, continuò a inoltrare richieste di sussidi dai fondi ministeriali a favore delle proprie opere per la gioventù povera. Nel 1866-67 il Presidente del Consiglio, Giovanni Lanza, autorevole esponente della Destra, fece ricorso anche a lui nelle vertenze tra Santa Sede e governo sulla nomina di vescovi alle sedi vescovili vacanti. Negli anni 1870-71 fu coinvolto dallo stesso Lanza nella questione dell’exequatur che, dopo la legge delle guarentigie, il governo rivendicava per autorizzare i vescovi nominati dal Papa a prendere possesso delle loro sedi. Don Bosco colse queste occasioni per ribadire il duplice ruolo che attribuiva a se stesso, cioè la sincera fedeltà al Papa e allo Stato. Le controversie politiche lo coinvolgono, ma le vive da prete. Sente le questioni sociali, ma le affronta da prete. Le situazioni ecclesiali – non prive di difficoltà, di contraddizioni e di problemi – lo trovano semplicemente sacerdote; dedito al Vangelo, alla missione della Chiesa, all’amore e al rispetto del Papa, questo prete così concreto, così incisivo nella storia della sua gente, rimane essenzialmente un prete di Gesù Cristo, illuminando con la sua presenza tempi non facili per la Chiesa e, in particolare, per il clero.

In tutto il mondo
Il dinamismo del suo amore con il passare degli anni si fa universale e lo spinge ad accogliere il richiamo di nazioni lontane, fino alle missioni di oltre oceano, per un’evangelizzazione che non è mai disgiunta da un’autentica opera di promozione umana. Sull’onda dell’emigrazione europea e in risposta alla domanda sociale e politica d’istruzione, poté inviare i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice in vari paesi dell’America Latina: Buenos Aires (1875), San Nicolás de los Arroyos (1876), Carmen de Patagones e Viedma (1879), Santa Cruz (1885) in Argentina; Montevideo (1876) in Uruguay; Niterói (1883) e San Paolo (1884) in Brasile; Quito (1885) in Ecuador; Concepción e Punta Arenas (1887) nel Cile; Malvine Falkland (1887). Le imprese di alcuni pionieri Salesiani tra gli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco, riverberandosi epicamente in Europa, accrescevano gli entusiasmi e mobilitavano vocazioni missionarie entro il mondo giovanile salesiano, stimolato oltretutto dalla narrazione che don Bosco faceva confidenzialmente di “sogni profetici” sull’avvenire dei Salesiani nei cinque continenti.
Sensibile al clima di riorganizzazione delle forze sociali cattoliche in Italia, nel 1876 don Bosco fondò l’Unione dei Cooperatori salesiani, ispirata al principio “vis unita fortior”. Ne risultò un più ampio coinvolgimento dell’opinione pubblica e di vari strati della popolazione. La rete dei Cooperatori fu coltivata con apposite conferenze e con il lancio del mensile Bollettino salesiano dal 1877. Il Bollettino, inviato gratuitamente anche a non Cooperatori, giovò ad allargare simpatie e anche a procurare finanziamenti per le imprese che don Bosco andava promuovendo.

Nunc dimittis
Nonostante l’età avanzata e la malferma salute, negli ultimi anni di vita non cessò di viaggiare a sostegno delle proprie iniziative. Nel 1883 fu accolto da folle di ammiratori a Parigi; lo stesso anno si recò a Frohsdorf (Austria); nel 1884 e 1885 a Marsiglia; nel 1886 a Barcellona; nel maggio 1887 per l’ultima volta a Roma. Si spense a Torino nell’oratorio di Valdocco il 31 gennaio 1888 e il capo del governo, Francesco Crispi, ne autorizzò la sepoltura nel collegio salesiano di Torino-Valsalice.

Il segreto che tutti sapevano
Il segreto di “tanto spirito d’iniziativa è frutto di una profonda interiorità. La sua statura di santo lo colloca, con originalità, tra i grandi fondatori di Istituti religiosi nella Chiesa. Egli eccelle per molti aspetti: è l’iniziatore di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica; è il promotore di una speciale devozione a Maria, Ausiliatrice dei cristiani e Madre della Chiesa; è il testimone di un leale e coraggioso senso ecclesiale, manifestato attraverso mediazioni delicate nelle allora difficili relazioni tra la Chiesa e lo Stato; è l’apostolo realistico e pratico, aperto agli apporti delle nuove scoperte; è l’organizzatore zelante delle missioni con sensibilità veramente cattolica; è, in modo eccelso, l’esemplare di un amore preferenziale per i giovani, specialmente per i più bisognosi, a bene della Chiesa e della società; è il maestro di un’efficace e geniale prassi pedagogica, lasciata come dono prezioso da custodire e sviluppare… Egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra ‘educazione’ e ‘santità’ è l’aspetto caratteristico della sua figura: egli è un ‘educatore santo’, si ispira a un ‘modello santo’ – Francesco di Sales –, è un discepolo di un ‘maestro spirituale santo’ – Giuseppe Cafasso –, e sa formare tra i suoi giovani un ‘educando santo’: Domenico Savio” (Giovanni Paolo II, Iuvenum Patris, n. 5).
In don Bosco tutto questo fu ulteriormente caratterizzato da una donazione senza riserve al suo ministero sacerdotale, dall’attenzione preferenziale per i giovani e per il popolo, da una dolcezza di tratto amabile e accattivante, da fantasia e intraprendenza pastorale, dalla capacità di discernere i segni dei tempi e di intuire i bisogni del momento e i futuri sviluppi. Egli ebbe una profonda vita interiore e insieme fu coraggioso, ottimista, capace di contagiare e di coinvolgere tanti nella sua opera educativa e pastorale. Questo prete, San Giovanni Bosco, è rimasto orfano di padre da bambino. Il Signore gli ha lasciato vicino per tanto tempo un’ammirabile mamma – mamma Margherita, oggi venerabile – e gli ha concesso anche un’intuizione inesauribile di grazia sulla presenza di Maria nella vita della Chiesa. La basilica che il santo ha voluto dedicata all’Ausiliatrice non sta soltanto a testimoniare una devozione fatta grande come il suo cuore trasfigurato dalla carità, ma anche a ricordarci che ogni itinerario cristiano è aiutato da questa Madre, è sollecitato da questa presenza ed è trasfigurato da questa soavissima maternità.

Pio XI, che lo aveva conosciuto, lo beatificò nel 1929, e lo canonizzò il giorno di Pasqua, 1° aprile 1934.