Di Sr. Paola Casalis FMA

Premessa – Punto di partenza: due esperienze
“Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo. E’ per amore che Dio non solo ci dà la sua Parola, ma ci porge pure il suo orecchio. Altrettanto è opera di Dio se siamo capaci di ascoltare il fratello. I cristiani, e specialmente i predicatori, credono spesso di dover sempre “offrire” qualcosa all’altro, quando si trovano con lui; e lo ritengono come loro unico compito. Dimenticando che ascoltare può essere un servizio ben più grande che parlare. Molti uomini cercano un orecchio che sia pronto ad ascoltarli, ma non lo trovano tra i cristiani perché questi parlano pure lì dove dovrebbero ascoltare…. Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza parlerà senza toccare veramente l’altro ed infine non se ne accorgerà nemmeno più. Chi crede che il suo tempo è troppo prezioso per essere perso ad ascoltare il prossimo, non avrà mai veramente tempo per Dio e per il fratello, ma sempre e solo per se stesso, per le sue proprie parole e per i suoi progetti.”

Dietrich Bonhoeffer 1938

 

Credo che il Signore mi abbia chiesto di aderire a questo servizio dell’ASCOLTO, quando anni fa ho vissuto il mio primo cambio di casa e sono andata a vivere “in una comunità di formazione”: il postulato. Quell’esperienza di 4 anni mi ha costretto a dare spazio e tempo all’altro. Non che prima non usassi il mio tempo per ascoltare, mi era già capitato spesse volte di raccogliere il vissuto dei ragazzi che incontravo, ma capivo che questa nuova obbedienza mi stava richiedendo un livello diverso, un salto di qualità; dovevo ascoltare non il “che cosa”, ma il come, non “le cose da fare” ma i movimenti interiori, i silenzi senza nome e i desideri inespressi delle ragazze che incontravo e che mi chiedevano uno spazio specifico.
Questa grande dimensione si è aperta così, è stata per me una chiamata, alla quale non so se ho risposto in modo adeguato, ma oggi mi rendo conto che è parte di me e che il Signore mi chiede di coltivarla sempre di più. La consapevolezza che l’ascolto non è semplicemente un atteggiamento ma una condizione necessaria, mi aiuta a sceglierla come prioritaria, tra le tante urgenze, attività, processi, programmi, scadenze che oggi riempiono la giornata e le agende!
Ho provato a chiedermi come avrei potuto sintetizzare in una parola o in un’immagine l’esperienza dell’ascolto e ho scelto questa icona che rappresenta la Donna del Silenzio: Maria. Tale icona riprende un dipinto su muro datato tra il XII e il XIII secolo e ritrovato in una grotta della zona di Faras (Egitto); appartiene alle icone copte, caratterizzate stilisticamente da occhi aperti e molto grandi. La divinità ascolta con gli occhi, comprende l’altro e il mondo con lo sguardo.
E’ un’immagine a me molto cara, più che un’immagine è uno spazio in cui Dio si manifesta. La caratteristica delle icone è quella di essere non semplicemente un riproduzione della divinità ma grazie al mistero dell’incarnazione di Cristo, l’icona è un sacramentale cioè è il luogo in cui Dio è presente e si può incontrare.
“Ciò che il Vangelo dice con la parola” – si afferma nel Concilio di Nicea II – “l’icona, immagine densa di una Presenza, lo annuncia coi colori e lo rende presente”.
Stando davanti a questa icona, posso incontrare sempre una preziosa compagna di viaggio, che dell’ascolto ha capito tutto e ne ha fatto la sua condizione costante. Lei è tutta proiettata sull’Altro, sul Figlio ed anche su di me… quando la guardo ha la forza di custodirmi e di mettermi nella giusta posizione, mi decentra, mi dice: Tu sei relativa, tu non sei importante, è Dio l’importante, è l’ascolto di Lui la nostra vera realtà.
Queste due esperienze sono i punti di partenza: vivere con le postulanti mi ha costretto a “stare ferma” anche fisicamente e contemplare Maria mi ha chiesto e mi chiede di “decentrarmi” per essere tutta occhi, in ascolto di Dio.

1. Ascolto come CONDIZIONE
Due anni fa una ragazza frequentante la terza superiore che stava vivendo una situazione molto difficile e con la quale ogni tanto “si chiacchierava”, mi scrisse un messaggio: “Sr Paola, devo chiederti un favore. Puoi ascoltarmi anche quando non ti racconto o non posso dirti?” e io le risposi “Certo!” Mentre le rispondevo capivo l’entità della richiesta: lei mi chiedeva di ascoltarla sempre, al di là delle parole, al di la dei nostri spazi di incontro, di custodirla e di ricordarmi di lei, nel tempo.
Questo è stato ed è sicuramente impegnativo perché le persone che incontriamo non sono libri da sistemare in un armadio ma sono vita da assumere. L’ascolto come condizione mi ha aiutato ad allargare il cuore: ascoltare i giovani vuol dire ridargli la dignità di persone, persone che non hanno semplicemente dei bisogni ma hanno il potere di cambiarmi la vita. Quando Don Bosco diceva che i “giovani ci salvano”, credo intendesse dire innanzitutto questo: lasciarsi modificare l’esistenza, cambiare la priorità interiore.
“Ascoltare è veramente difficile. Farlo realmente produce un certo panico o vertigine. Significa rischiare di incontrarci con un’altra persona distinta. “Vivere ascoltando” significa mettersi in gioco per la comunione, lasciarsi sorprendere, appassionarsi alla prossimità. “Vivere ascoltando” significa scommettere di essere fedele all’insegnamento della realtà”
(da J.C. Bermejo, L’ascolto che sana)
Vivere l’ascolto come condizione permette di scardinare, almeno a livello simbolico, il tempo e quindi di non far sentire l’altro come una tessera tra tante ma come l’unica cosa che ci interessa veramente.
” Accoglienza ai giovani: questa è una terza cosa un po’ difficile. I giovani stancano, perché hanno sempre un’idea, fanno rumore, fanno questo, fanno quell’altro…E poi vengono: “Ma, vorrei parlare con te”- “Si, vieni”. E le stesse domande, gli stessi problemi: “Io te l’ho detto…” Stancano. Se vogliamo vocazioni: porta aperta, preghiera e stare inchiodati alla sedia per ascoltare i giovani. “Ma sono fantasiosi!”. “Benedetto il Signore! A te tocca farli “atterrare”. Ascoltarli: l’apostolato dell’orecchio. “Vogliono confessarsi, ma confessano sempre le stesse cose” – “Anche tu, quando eri giovane, ti sei dimenticato? Ti sei dimenticata?” La pazienza: ascoltare, che si sentano a casa, accolti; che si sentano bene voluti. E’ più di una volta fanno ragazzate: grazie a Dio, perché non sono vecchi. E’ importante “perdere tempo” con i giovani. Alcune volte annoiano, perché – come dicevo – vengono sempre con le stesse cose; ma il tempo è per loro. Più che parlare loro, bisogna ascoltarli, e dire soltanto una “goccina”, una parola lì, e via, possono andare. E questo sarà un seme che lavorerà dentro. Ma potrà dire: “Si, sono stato con il parroco, con il prete, con la suora, con il presidente dell’Azione Cattolica, e mi ha ascoltato come se non avesse niente da fare”. Questo i giovani lo capiscono bene.
Dal discorso di Papa Francesco ai partecipanti al convegno per la pastorale delle vocazioni – 5 gennaio 2017
Penso che una consapevolezza importante che ci aiuta a vivere l’ascolto come condizione sia il sapersi già abitati, lo spazio che l’altro occupa dentro di me, mi è già dato, è un dono… l’incontro reale mi permetterà di attribuire un nome e di allargare sempre di più il cuore a seconda della sua consistenza fisica (storia, carattere, desideri, ecc). Questi due elementi sono dipendenti uno all’altro: non potremmo ascoltare se dentro di noi non ci fosse già uno spazio donato, e non potremmo ascoltare se non conoscessimo l’altro attraverso racconti reali ed esperienze condivise.

2. Ascolto come SGUARDO
L’ascolto passa attraverso i nostri occhi, da cosa guardiamo e da come guardiamo. Sappiamo bene che il linguaggio non verbale è molto più forte, più spontaneo, più eloquente delle parole che diciamo e sentiamo. Dio ascolta con gli occhi, il suo sguardo entra nella profondità del nostro cuore e vi legge dentro, ma non è uno sguardo investigativo che cerca la falla o il punto debole; è uno sguardo che ama e si compiace di riconoscere casa il nostro cuore.

Una delle esperienze più belle, più forti e più convincenti che sto facendo in questa zona di Torino è pregare il rosario andando per le strade: Porta Palazzo, zona di corso Principe Oddone, il Balon. Questa terra è rimasta, come ai tempi di don Bosco, una terra di immigrazione, di povertà e di degrado. Ascoltare il bisogno, la diffidenza, la paura ma anche la superficialità, l’estraniamento di questi giovani mi aiuta a non stare in pace, a non stare tranquilla, ad andare a dormire chiedendomi: “Il tuo popolo urla, soffre, Signore, e io cosa faccio?”. Mi rendo conto che il sapere non mi basterebbe per mettermi in discussione, ho bisogno di vedere, di incrociare gli sguardi di questi giovani per sentirli parte di me.

Ascoltare con gli occhi vuol dire non perdermi nessun particolare di te: la tua faccia, le tue espressioni, come ti muovi, come ti vesti, come guardi… ecc… e provare a leggere dai segni del tuo volto ciò che tu sei. Il volto porta i segni della nostra esistenza nella sua bellezza e complessità, ogni volto è da contemplare!

“L’amore del prossimo ha per sostanza l’attenzione. E’ uno sguardo attento in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per ricevere in se stessa l’essere che guarda, così com’è, in tutta la sua verità”
Simone Weil

Il volto è la forma dell’Amato, è la meta della ricerca, è l’incontro che si realizza: “Dio te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”. In ogni volto c’è la Verità che cerchiamo.

Anche per don Bosco, lo sguardo è un potente mezzo educativo, perché lui stesso è cresciuto dentro uno sguardo buono: quello di mamma Margherita, quello di don Calosso, di don Cafasso. Lui stesso commenta l’incontro con don Calosso usando queste parole:

” (…) fece grande impressione sopra quel santo sacerdote, che mentre io parlava non mi tolse mai di dosso lo sguardo” (MO 45)

“Don Calosso non tolse mai di dosso lo sguardo a Giovanni”. Si tratta di un dettaglio assai intenso, la realtà dello sguardo, infatti, è una delle esperienze fenomenologiche più importanti e decisive in una relazione, perché dice l’intenzionalità della libertà, l’inter-esse di colui che guarda l’oggetto-soggetto che suscita meraviglia, stupore. (…) Più volte nelle MO, ma non solo, don Bosco affida alla potenza dello sguardo la comunicazione dell’importanza di un incontro, di un evento, di una missione. Sappiamo bene come le prime generazioni di allievi dell’oratorio abbiano testimoniato il fascino quasi soprannaturale dello sguardo, degli occhi di don Bosco.

Un giorno — proseguì il Roda — durante la ricreazione, mi sfuggì una brutta parola; mi diedi un colpo con la mano sulla bocca, ma era scappata. I compagni l’avevano sentita. Domenico mi si avvicinò e disse: “Ti sei dimenticato dei nostri proponimenti di non far cattivi discorsi? Va’ subito da don Bosco, raccontagli la disgrazia che ti è capitata. È tanto buono; vedrai che aggiusterà tutto. Io intanto andrò a pregare per te”. Non feci il niffolo, andai difilato. Ma dove trovare don Bosco? Era in parlatorio attorniato da alcuni signori. Da maleducato m’intrufolai nel crocchio. Don Bosco, sorpreso, mi disse: “Vedi, sono tanto occupato, non potresti aspettare un momentino?”. Quelle persone credettero che avessi una commissione d’urgenza e si misero in disparte. Allora mi alzai in punta di piedi e dissi all’orecchio del buon padre: “Savio mi manda da Lei, ho detto una bestemmia”. Tremavo come una foglia. Don Bosco non mi sgridò, ma vidi sul suo volto disegnarsi una pena tanto profonda! Capii la gravità della mia colpa. «Quegli occhi perforavano il cuore. “Non farlo più, caro figliuolo, non farlo mai più. È un’offesa di Dio, sai! Il Signore non ci benedirebbe. Va’ in chiesa e recita tante volte il Padre nostro”».
«Corsi dinanzi all’altare, recitai i Padre Nostro e scappai via di corsa, alleggerito come se mi avessero tolto un piombo dallo stomaco. Dimenticai il numero dei Padre Nostro; lo sguardo di Don Bosco, mai.

Ogni giovane si sentiva guardato e amato nel profondo, e non è forse qui la radice di ogni vocazione? L’esserci riconosciuti visti, amati, desiderati, promossi nel bene che il proprio cuore segretamente custodisce?”
“Tu non hai più padre”, Stefano Mazzer in Sapientiam dedit illi

«Con il suo sguardo misurato, calmo, sereno, s’impossessava del pensiero altrui con attrazione irresistibile e con la stessa forza, quando lo voleva, era egli stesso compreso. Spesso con un motto, un sorriso, accompagnato dallo sguardo fisso, valeva una domanda, una risposta, un invito, un discorso intero… Tante volte Don Bosco guardava un giovane in modo così particolare, che i suoi occhi dicevano ciò che il suo labbro in quel momento non esprimeva e gli faceva comprendere ciò che desiderava da lui. E il buon giovane rispondendogli col labbro stupiva di aver perfettamente compreso il ragionamento intellettuale di Don Bosco. Talvolta si trattava di cose che non avevano alcuna relazione con ciò che prima era detto, oppure si aveva in quell’istante visto od operato; era personalmente un’interrogazione che personalmente non riguardava l’interrogato: un comando, un avviso, un consiglio per la scuola, per la ricreazione o per altro. E si intendeva benissimo. Sovente seguiva con lo sguardo un giovane in qualunque parte egli andasse del cortile e dei portici, mentre egli conversava tranquillamente con altri. Ma ad un tratto lo sguardo di quel ragazzo s’incontrava con quello di Don Bosco e leggendo in quell’occhio così limpido un desiderio di parlagli, veniva a chiedergli che cosa volesse da lui. E Don Bosco glielo diceva all’orecchio. Non di rado, mentre aveva innanzi molti allievi, ne fissava uno o due, facendo con la mano quasi visiera ai suoi occhi, come chi è contro luce e vuole veder meglio e pareva penetrasse nell’intimo del loro cuore. Essi restavano confusi, moriva sul loro labbro la parola e sentivano in sé che egli conosceva qualche loro segreto. E infatti leggeva nel loro volto qualche oscurità di colpa o di rimorso. Un suo leggero muover di capo allora bastava: non vi era più bisogno di altro invito; restava solo da stabilire il momento della confessione…» (MB VI, 420-421).

La profondità dello sguardo di don Bosco, gli deriva dalla sua unità interiore, frutto di Grazia e di natura a guardarsi attorno, a guardare avanti, a guardare in alto. Egli conosceva uno a uno i suoi ragazzi e li conosceva così bene, leggendone l’anima, che sapeva dare a ciascuno il consiglio, l’ammonimento, il conforto necessari. La conoscenza che si comunicava in uno sguardo attento e paterno, faceva avvicinare i giovani che si mettevano in ascolto e aprivano totalmente il cuore.

Attraverso la “parolina all’orecchio, don Bosco si curvava sul figlio e gli parlava in segreto e con la mano faceva riparo alla sua bocca, perchè nessuno potesse udire. (MB Vol VI). L’ascolto, si faceva incontro e parola: puntuale e personale, e apriva il cuore dei giovani alla confidenza.
3. Ascolto come SILENZIO
Il silenzio è necessario per l’ascolto, la vera comunicazione esige silenzio, solo chi dimentica se stesso può aprirsi all’altro. Silenzio quindi non come assenza, come vuoto, come non partecipazione, ma come povertà di sé e spazio di Dio.

Il silenzio autentico quindi prevede un decentramento; decentrarsi significa fare posto agli altri riconoscendoli come doni senza pregiudizio, dimenticando se stessi e la propria voglia di protagonismo, il proprio egocentrismo e narcisismo. C’è una morte a se stessi che è necessaria per una degna accoglienza, c’è un espropriarsi di sé per lasciare che l’altro sia accolto e compreso, a casa propria e così possa percepire concretamente di essere amato da Dio.
Cristo “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 7), si è svuotato per assumere l’umanità, l’uomo, nella sua totalità di bellezza e di peccato.

“Si ascolta con efficacia solamente quando si fa silenzio dentro se stessi, interessandosi realmente all’altro, tentando di comprendere il significato delle parole. Quando mettiamo tra parentesi le comunicazioni intra-psichiche che chiedono diritto di cittadinanza dentro noi stessi. Quando trascuriamo la nostra tendenza a rispondere a tutto, volendo offrire soluzioni”
(da J.C. Bermejo, L’ascolto che sana)
“Per comprendere l’altro è necessario entrare nel suo universo, saper guardare con i suoi occhi, sentire con i suoi sentimenti, essere lui per compenetrazione e simpatia. Occorre abbandonare momentaneamente i propri pregiudizi, le proprie inclinazioni personali, le proprie idee a priori, il proprio paesaggio familiare. Tutto ciò infatti rende selettiva la nostra attenzione filtrando ciò che ci viene dall’altro e ricucendolo in definitiva all’immagine che noi abbiamo di lui. Lasciare da parte ogni preoccupazione di affermare se stessi, di curiosità e di critica”
Citaz. in Un certosino, il cammino della vera felicità. Le beatitudini fondamento della pace interiore, Paoline, Milano 2005.

Vivere il silenzio di me per rendermi attento, è la prova che il mio ascoltare non è in funzione di me stesso (prendere per me, soddisfare la mia curiosità, ricevere conferme…) ma per il bene esclusivo dell’altro: sono io che decido di amare l’altro, di offrirmi a lui dimenticando me stesso perché lui si senta rinascere in me e da questo mio modo di accogliere possa percepire almeno in minima parte quanto egli sta a cuore anche a Dio.
4. Ascolto come FIDUCIA e ATTESA
Molte volte mi è successo, durante o al termine dell’ascolto di alcuni giovani di dover dire “non lo so” e vivere questo non sapere non come un problema ma come una risorsa; di dire “sono appesantita e stanca” e vivere questa condizione come la conseguenza di un investimento grande e non come un sentire, moralmente sbagliato.
Il non sapere mi ha permesso di essere libera e di provare ad aprirmi allo Spirito Santo che nella ricerca autentica si dona con forza e abbondanza e l’essere appesantita come consegna della mia povertà e della consapevolezza di essere strumento, utile o inutile, questo è a discrezione della volontà di Dio.
Credo che il risultato di un ascolto autentico sia la fiducia e l’attesa, il desiderio di camminare insieme all’altro e considerarsi, entrambi, lo spazio in cui Dio può esprimere la Sua Volontà. Il raccontarsi con libertà e imparare a chiamare le cose per nome, permette alla vita di essere letta con maggiore consapevolezza. Ci vuole tempo, pazienza, interesse vero, bene profondo, assunzione reale di chi mi sta di fronte.
La fretta di arrivare al dunque, di risolvere i problemi, di esprime parole illuminanti, che a volte ci prende e non ci permette di concentrarci sull’altro per quello che è, risulta un atteggiamento sterile che fa crescere il nostro ego ma non ci rende docili nelle mani del Padre.
“Tu mi interessi, mi interessa quello che pensi e che hai da dire”, questo è l’atteggiamento di Papa Francesco di fronte ad ogni giovane, nessuno escluso, è il desiderio di una Chiesa Viva! Il sinodo dei giovani ci mette in questo stile, che non è semplicemente uno strumento per ottenere dei risultati ma un modo di vivere. La sinodalità che Papa Francesco ci chiede presuppone interesse, attenzione, ascolto, umiltà. Tutti hanno qualcosa di importante da dire e tutti abbiamo il dovere di ascoltare e imparare, anche il Papa.
Ascolto, anzitutto. «Una Chiesa sinodale – ha ricordato il Papa – è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare». Ritornano alla mente gli «atteggiamenti di fratelli nel Signore» indicati da Francesco ai padri sinodali all’inizio del Sinodo del 2014: «“Parlare con parresia e ascoltare con umiltà». Aprirsi all’ascolto è una scelta di metodo e di campo. L’ascolto, infatti, è fonte di relazioni vere, sempre nuove e diverse. In queste relazioni, che diventano incontro con gli altri, si sviluppa un dialogo autentico, leggero, libero, non appesantito da parole che raccontano solo il proprio “ego”. Ascoltare è disponibilità, arricchimento reciproco, relazione… E questo vale, in modo particolare, a livello ecclesiale. Ascolto umile, allora, con il desiderio di andare oltre, di scavare dentro di sé, per mettere in comunicazione l’attimo con l’Eternità, il frammento con l’Insieme, il provvisorio con il Definitivo.
Papa Francesco

5. Ascolto come ACCOMPAGNAMENTO
Tutte le dimensioni che ho cercato di mettere in evidenza: la condizione, lo sguardo, il silenzio, la fiducia e l’attesa confluiscono dentro la dinamica dell’accompagnamento. Mentre penso all’ascolto, la mia mente va continuamente alle diverse esperienze di incontro con i giovani e in particolare a quelli che incontro personalmente, seduti nel mio ufficio o passeggiando nei cortili di Valdocco…
I giovani ci chiedono esplicitamente di essere: punti di riferimento, spazi di ascolto e presenza nell’ accompagnamento.
“Vorrei capire come fare ad amare veramente?”
“Quale ordine e priorità dare alla mia vita?”
“Vorrei credere ma i miei alti e bassi mi destabilizzano”
“Vorrei fare il mio dovere con consapevolezza e con coraggio senza lasciarmi schiacciare dalle fatiche”
“Vorrei provare sul serio a vivere da cristiana, cioè secondo Cristo, nella vita di tutti i giorni”,
“Vorrei vivere il servizio non perché mi riempie ma perché posso essere utile e fare del Bene”
“Vorrei vivere le amicizie e le relazioni con responsabilità e libertà”
“Vorrei lasciarmi amare, ma faccio tanta fatica”
“Vorrei capire qual è il mio posto?”
“Vorrei rispondere a quello che Dio vuole da me”
“Capisco che ci sono delle parti di me che non funzionano, ma ho bisogno che qualcuno mi aiuti a leggerle e mi dica la verità”
“Vorrei …
…queste sono le domande e i desideri profondi che mi sento esprimere, queste sono le domande che segnano i punti di svolta da un ascolto della realtà all’ascolto del cuore. Queste sono le domande a cui io devo continuamente rispondere con la vita, ogni giorno e non per essere credibile ma per essere felice, per camminare sempre di più nel Significato dell’esistenza.
C’è bisogno di tempo e di molta pazienza per arrivare lì, il tempo di raccontare la realtà e la pazienza di vivere la conoscenza dell’altro che è l’insieme del tutto: famiglia, educazione, scuola, innamoramenti, lavoro, fede, incontri, manie, ferite, passioni, relazioni, fatiche, esperienze, desideri. La pazienza e la bellezza di cercare Dio in questo tutto e di rispondere alla Sua Volontà.
L’ascolto è la condizione necessaria del camminare con i ragazzi, ma a questo devono seguire due passaggi fondamentali: la decisione e l’azione. Un ascolto che scava nella verità, porta alla questione essenziale della vita: quella del senso! E la decisione è indotta e sostenuta dalla promessa presente negli occhi di chi ascolta. La promessa di una felicità possibile e autentica; se i giovani che incontriamo scoprono nei nostri occhi la Bellezza di una Vita donata, allora vivranno il coraggio e l’entusiasmo del decidere, ne sono certa!
La vita di Maria di Nazareth è segnata da questi tre passaggi, paradigmi per la vita e il cammino di ciascuno di noi
1. Ascolto. Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta? Da una parola dell’Angelo di Dio: «Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio…» (Lc 1,36). Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire”, un udire superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio.
Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato. La parente Elisabetta, che è già anziana, aspetta un figlio: questo è il fatto. Ma Maria è attenta al significato, lo sa cogliere: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla, e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; alla vita.

2. La seconda parola: decisione. Maria non vive “di fretta”, con affanno, ma, come sottolinea san Luca, «meditava tutte queste cose nel suo cuore» (cfr Lc 2,19.51). E anche nel momento decisivo dell’Annunciazione dell’Angelo, Ella chiede: «Come avverrà questo?» (Lc 1,34). Ma non si ferma neppure al momento della riflessione; fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è necessario “va in fretta”. Maria non si lascia trascinare dagli eventi, non evita la fatica della decisione. E questo avviene sia nella scelta fondamentale che cambierà la sua vita: «Eccomi sono la serva del Signore…» (cfr Lc 1,38), sia nelle scelte più quotidiane, ma ricche anch’esse di significato. Mi viene in mente l’episodio delle nozze di Canna (cfr Gv 2,1-11): anche qui si vede il realismo, l’umanità, la concretezza di Maria, che è attenta ai fatti, ai problemi; vede e comprende la difficoltà di quei due giovani sposi ai quali viene a mancare il vino della festa, riflette e sa che Gesù può fare qualcosa, e decide di rivolgersi al Figlio perché intervenga: «Non hanno più vino» (cfr v. 3).
Nella vita è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle, a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile perché vuol dire andare controcorrente. Maria nell’Annunciazione, nella Visitazione, alle nozze di Canna va controcorrente, Maria va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze.

3. La terza parola: azione. Maria si mise in viaggio e «andò in fretta…» (cfr Lc 1,39). Domenica scorsa sottolineavo questo modo di fare di Maria: nonostante le difficoltà, le critiche che avrà ricevuto per la sua decisione di partire, non si ferma davanti a niente. E qui parte “in fretta”. Nella preghiera, davanti a Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che deve fare, non indugia, non ritarda, ma va “in fretta”. Sant’Ambrogio commenta: “la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze” (Expos. Evang. sec. Lucam, II, 19: PL 15,1560). L’agire di Maria è una conseguenza della sua obbedienza alle parole dell’Angelo, ma unita alla carità: va da Elisabetta per rendersi utile; e in questo uscire dalla sua casa, da se stessa, per amore, porta quanto ha di più prezioso: Gesù; porta il Figlio.
A volte, anche noi ci fermiamo all’ascolto, alla riflessione su ciò che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo prendere, ma non facciamo il passaggio all’azione. E soprattutto non mettiamo in gioco noi stessi muovendoci “in fretta” verso gli altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo, con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire.
Maria, la donna dell’ascolto, della decisione, dell’azione.
Papa Francesco, San Pietro, maggio 2013

Papa Francesco ci ricorda l’importanza di mettere in gioco se stessi, l’accompagnamento richiede l’essere disponibili ad assumere l’altro, cioè essere disposti a “lasciarsi toccare” dalla sua esperienza di vita. Un accompagnamento neutro, in cui si mantiene la distanza, non ha ragione d’essere. La vita dell’altro solo se è assunta può essere redenta, così ha fatto Cristo con ciascuno di noi; Lui l’agnello immolato per la nostra salvezza. Anche noi siamo chiamati a questo!
Maria, donna dell’ascolto, rendi aperti i nostri orecchi; fa’ che sappiamo ascoltare la Parola del tuo Figlio Gesù tra le mille parole di questo mondo; fa’ che sappiamo ascoltare la realtà in cui viviamo, ogni persona che incontriamo, specialmente quella che è povera, bisognosa, in difficoltà.

Maria, donna della decisione, illumina la nostra mente e il nostro cuore, perché sappiamo obbedire alla Parola del tuo Figlio Gesù, senza tentennamenti; donaci il coraggio della decisione, di non lasciarci trascinare perché altri orientino la nostra vita.

Maria, donna dell’azione, fa’ che le nostre mani e i nostri piedi si muovano “in fretta” verso gli altri, per portare la carità e l’amore del tuo Figlio Gesù, per portare, come te, nel mondo la luce del Vangelo. Amen.

Preghiera a Maria, donna dell’ascolto -Papa Francesco, San Pietro, maggio 2013